Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 7/9/2010, 7 settembre 2010
IL PERBENISMO CI SOFFOCA
Le rifrazioni di un passato doloroso, si confondono con le vacuità del Lido. La commistione di generi disegna il profilo di una giornata di polemiche scomposte che Alessandro Dalai, 63 anni tra 48 ore, affronta attaccando. Dalai è l’editore che contestualmente alla presentazione de “I fiori del male” di Placido su Vallanzasca, ha portato in Laguna il libro di Leonardo Coen: “L’ultima fuga”. Un viaggio nei 260 anni di galera del bandito condannato a quattro ergastoli che il giornalista percorre in un continuo andirivieni tra la violenza di ieri e i ripensamenti di oggi. Una parte dei proventi “Il 6 per cento di tutte le copie vendute sul prezzo di copertina. Tanto, poco? Non so fornire una dimensione”, sarebbe dovuto andare previo suggerimento dell’amministrazione penitenziaria ai parenti delle vittime. Dopo il rifiuto indignato degli stessi e la minaccia di cause legali, i soldi prenderanno altre strade.
Amareggiato, Dalai?
Siamo in una Repubblica libera e indipendente in cui si pubblicano libri e si fanno film, a prescindere dall’opinione rispettabile degli stessi parenti delle vittime.
Che rifiutano il denaro.
Non eravamo tenuti a chiedere a nessuno l’autorizzazione ma quando l’amministrazione carceraria ci ha chiesto se fossimo disposti a devolvere parte dei proventi ai parenti, abbiamo accettato senza fiatare.
Non è bastato.
È chiaro che chi ha pianto padri e figli ha un sentimento irriducibile, ma la libertà di insulto è gratuita. Non riteniamo che qualche lira possa ricompensare una perdita di quel genere, però teorizzare il divieto di ragionare su un dato argomento è sbagliato.
Per quale ragione?
Non avremmo dovuto mai parlare di Piazza Fontana o delle gesta criminali di Mambro e Fioravanti, altrimenti. Le faccio un esempio.
Dica.
Noam Chomsky prese posizione a favore di uno storico negazionista che escludeva l’esistenza dei campi di concentramento in virtù di un banale principio diderotiano. La libertà di espressione è in cima alle mie priorità.
Chi era Vallanzasca?
Un criminale che si definisce tale e che si è pentito di quello che ha fatto senza però infoltire la squadra dei collaboratori di giustizia insinceri che vendono le vite degli altri facendo i nomi dei complici.
A chi l’accusa di cinismo?
Non capisco il nesso. Io faccio l’editore e naturalmente, la mia è un’operazione editoriale legata all’uscita del film di Placido.
C’è chi insinua che abbiate elaborato un santino.
Chi lo sostiene non ha letto il libro che è tutto, tranne che un’apologia. L’ultimo volume sul tema era di 10 anni fa. Coen ha frequentato Renato per quattro mesi tentando di scoprire che tipo di persona fosse oggi.
Risultato?
Una testimonianza straordinaria di cui nessuno parla, perché pronunciare il solo nome di Vallanzasca sembra eversivo. In realtà, Coen ha fotografato l’istantanea di un uomo molto provato che come suggerisce il titolo, è in fuga da se stesso.
Figura contraddittoria. Tra scatti di violenza selvaggia, decapitazioni, omicidi e ripensamenti.
Uno che avrebbe potuto essere con me nel movimento studentesco come in un gruppo di estrema destra. Un ragazzo di quartiere che cresce con la mitologia degli anni ’70.
L’ha incontrato?
Abbiamo parlato di tante cose che avevamo in comune. Certo, quando il tuo ambito è in bilico tra mafia, Camorra, traffico di droga e sparatorie, un santo non puoi essere. Però Vallanzasca non chiede perdono, né patenti di eroismo.
Cosa chiede?
Sa di essere un personaggio negativo che non riesce ad abbandonare la sua maschera. Un animale chiuso nella gabbia con cui dovrà convivere per tutta l’esistenza.
Vallanzasca ha attraversato le fasi più buie della nostra storia recente.
Il punto è proprio quello. Si discute dei soldi da noi donati, ma non si riflette su quanti emolumenti siano stati versati allo Stato in forme terze da Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta P2, P3 e P4. Su quelli, nessuno dice nulla.
Perché?
Gli anni ‘70, in Italia rappresentano un tabù che deforma le figure e rende anche la figura di Vallanzasca un nervo scoperto.
Addirittura?
Analizzare i ’70 e gli ’80, significa fare un’immersione ipercontemporanea a fianco degli uomini che oggi governano il nostro Paese. Sono lì da allora e a nessuno, salvo poche voci isolate, è mai venuto in mente di chiederne conto.
Vallanzasca, allo scopo di rapirli, riuscì a procurarsi una lista dei più facoltosi imprenditori dell’epoca. Della Valle, Ligresti, Berlusconi.
La sua vita è un romanzo, come è stata l’esistenza di Giusva Fioravanti o il diagramma criminale della Banda della Magliana. Impronte gravi, rimaste nella viva pelle della nazione e che i giovani vogliono conoscere. Quando sento Placido dire che è sollevato dall’assenza di Vallanzasca perché la presenza di René al Festival sarebbe stata inopportuna, mi intristisco.
Avrebbe voluto che fosse a Venezia?
Desideravo che la gente vedesse com’è. Le frasi di Placido somigliavano a un vecchio adagio: ‘Tirare la pietra e nascondere la mano’ . Io a Placido devo questo libro, ma insomma, utilizzare una figura e poi confinarne il ricordo alla sola trasposizione cinematografica, mi pare un po’ ipocrita.
Da contraddizioni come queste lei è già passato.
Anni fa facemmo una diretta dal carcere di Rebibbia con Veltroni, Mieli e Liguori. Anche allora, il plotone dei falsi moralisti ci aggredì. Ma raccontare la storia è più importante di alimentare una polemica di retroguardia.
Francesca D’Aloja ha da anni in cantiere una trasposizione cinematografica del libro di Bianconi su Fioravanti.
È un film che non le faranno mai girare. Ci sono ombre, semplicemente, da non illuminare mai più. In Italia trionfa il perbenismo di sinistra che concede il proprio lasciapassare, solo quando la critica si è espressa positivamente. Avvenne con Bianconi, accadrà con Coen. Però dopo, vale di meno.
Lei si è arrabbiato anche con il Corriere della Sera.
Quella prima pagina che virgolettava “Vallanzasca era un assassino, Film e libro inaccettabili”. senza spiegare l’origine, ovvero il solo parere dei parenti delle vittime, denota una chiara presa di posizione politica.
Non va bene?
Stare dalla parte del partito delle vittime è più facile che stare dalla parte degli assassini. Ma noi non militiamo tra i secondi. L’ipocrisia non mi piace. Altrimenti, dovrei chiedere a un direttore di quotidiano se è moralmente lecito fare un giornale. Certe semplificazioni fanno paura.
Cos’altro la spaventa?
Conformismo ipocrisia, perbenismo, stupidità. Curiosamente, con le ultime due categorie non c’è partita possibile. Puoi dialogare o ragionare con tutti: buoni, cattivi, falsi, ipocriti, leccaculo. Con gli stupidi è inutile. Tempo perso.