ANDREA MALAGUTI, LUCA MERCALLI, La Stampa 7/9/2010, pagina 22-23, 7 settembre 2010
L’uomo che inventò il meteo (2 articoli) - L’uomo che inventò le previsioni del tempo, le portò per la prima volta sulle pagine del Times il 6 settembre di 150 anni fa e che per le previsioni del tempo si tolse la vita, era nato in una elegante tenuta di Ampton Hall, nel Suffolk, il 5 luglio del 1805, figlio primogenito di Lord Charles FitzRoy, quarto erede di Carlo II e consigliere di Sua Maestà
L’uomo che inventò il meteo (2 articoli) - L’uomo che inventò le previsioni del tempo, le portò per la prima volta sulle pagine del Times il 6 settembre di 150 anni fa e che per le previsioni del tempo si tolse la vita, era nato in una elegante tenuta di Ampton Hall, nel Suffolk, il 5 luglio del 1805, figlio primogenito di Lord Charles FitzRoy, quarto erede di Carlo II e consigliere di Sua Maestà. Si chiamava Robert FitzRoy e nel corso dei suoi straordinari sessant’anni di vita, dedicati alla scienza, a Dio e all’avventura, dopo avere navigato dall’Equatore a Capo Horn, educato al cristianesimo tre bambini indigeni salvati nella Terra del Fuoco e accompagnato Charles Darwin nel suo viaggio verso le radici della vita, aveva cercato di aprire il mondo a un nuovo sorprendente orizzonte, attirando per questo su di sé la diffidenza immediata e l’ira feroce non solo della Chiesa d’Inghilterra, ma anche della Royal Society, l’eterno e l’immanente improvvisamente concordi, un carico insopportabile per la schiena di qualunque essere umano. La sua colpa? Avere inventato e imposto la parola «forecast», previsione, associandola al sostantivo «weather», tempo, in una sorta di bestemmia imprecisa, scagliata contro tutte le certezze dell’epoca vittoriana. «Il tempo non lo si prevede, lo si racconta». Il suicidio gli costò una sepoltura indegna, lontana dal pantheon famigliare e solo adesso i suoi resti mortali sono stati riavvicinati a quelli dei cari nella chiesa della Vergine Maria nel Northamptonshire come riconoscimento alle sue «eccezionali qualità di navigatore e di scienziato». Esperto di lingue, di ballo e di fioretto, entrato a 12 anni al Royal Naval College, religioso fervente e praticante, il 27 dicembre del 1831 l’ammiraglio Robert FitzRoy parte con il proprio equipaggio alla volta della Terra del Fuoco al comando del Beagle. Ha 26 anni e 74 uomini di equipaggio a bordo. Tra loro un medico, un artista, tre ufficiali e un naturalista di nome Charles Darwin. Tra i due non corre buon sangue. «Darwin ha un naso troppo poco pronunciato per poter resistere a questa avventura», scrive FitzRoy. Non basteranno cinque anni di avventure passate tra terremoti, uragani, fughe dai cannibali e da piccoli dittatori locali, per costruire un’amicizia, perché l’ammiraglio è convinto che gli studi dello scienziato ventiduenne possano minare la fiducia nella chiesa di una intera nazione. Le strade dei due si dividono. FitzRoy diventa prima deputato conservatore, poi governatore della Nuova Zelanda, ma la sua deplorevole insistenza nel voler considerare i diritti dei maori identici a quelli dei bianchi irrita la Regina che lo convoca in patria e gli assegna un lavoro apparentemente di basso profilo. Lo mette a capo del servizio meteorologico, una struttura sostanzialmente inesistente relegata in una stanzetta fornita di un vecchio tavolo e illuminata da una finestra con una vetrata opaca, che dovrebbe limitarsi a registrare le variazioni delle piogge e dei venti. FitzRoy, diventato membro della Royal Society per meriti scientifici dopo essersi inventato un barometro che porta il suo nome, fa molto di più. Servendosi del telegrafo comunica all’intero Paese il tempo che troveranno le navi nelle ore successive. Non gli basta vedere, vuole prevedere. Il progetto si allarga fino a coinvolgere i giornali, ma quello che per lì per lì viene considerato un gioco divertente, un tentativo audace, a causa degli inevitabili errori che accompagnano un cammino all’inizio, diventa per l’opinione pubblica un’esperienza a metà tra la magia e il gioco di prestigio, dunque un insulto all’intelligenza umana e divina, l’ennesimo tentativo per screditare la scienza e minacciare la fede in Cristo. La diffidenza diventa ostilità, i complimenti si trasformano in insulti e FitzRoy non può più camminare per strada senza essere deriso. L’illusione si schianta col fracasso lancinante di un mito crollato, eppure non lo avrebbero odiato tanto se non lo avessero così sfacciatamente amato. Cade in una depressione profonda. Pochi giorni prima di togliersi la vita Robert Fitzroy, pioniere della meteorologia e compagno di strada dell’eretico Charles Darwin - scienziato o demone? -, scrive alla moglie. Racconta che guardando il cielo non vede più nuvole, ma occhi e risa che echeggiano beffardi alle sue spalle. Si sente schiacciato dalla cattiveria del mondo che era suo, la testa gli esplode, le tempie gli fanno male. Così la mattina del trenta aprile 1865, in un giorno di pioggia, sceglie di ammazzarsi in modo brutale, usando un coltello, come facevano gli indigeni della terra del fuoco. Seduto davanti alla finestra guarda gli alberi che si inclinano piegati dal vento e dopo aver buttato per terra il barometro si taglia la gola. ANDREA MALAGUTI *** Per millenni la previsione del tempo si è affidata alla magia, alla religione, alla tradizione popolare: inutile dire con quali risultati. A metà Seicento, la spinta all’osservazione dei fatti naturali introdotta da Galileo e dalla fiorentina Accademia del Cimento, traghetterà la meteorologia nel dominio della scienza. Grazie ai primi strumenti, dal barometro di Torricelli ai termometri fiorentini, le impressioni soggettive verranno via via trasformate in grandezze fisiche oggettive. Nel corso del Settecento nasceranno i primi osservatori meteorologici, alcuni dei quali ancora in attività, e a metà Ottocento l’apparato strumentale per l’osservazione del tempo era impostato in gran parte del mondo occidentale e coloniale. Il telegrafo permetteva di scambiare i dati quasi in tempo reale e il sogno di elaborare le previsioni meteo sembrò per un attimo a portata di mano. Nel novembre 1854, durante la guerra di Crimea, una tempesta causò 400 vittime tra la flotta militare e mercantile che incrociava sul Mar Nero. Napoleone III incaricò allora il celebre astronomo Le Verrier di allestire un primo servizio meteorologico. Negli stessi anni l’ammiraglio FitzRoy perfezionava il barometro navale e metteva le basi del servizio meteorologico inglese, il MetOffice, ancora oggi riconosciuto tra i migliori al mondo. In Italia padre Francesco Denza, dall’osservatorio di Moncalieri raccoglieva dati da un’Italia appena unita e li disseminava urbi et orbi. Ma nonostante le biblioteche si riempissero di dati, il traguardo della previsione rimaneva lontano. Nel 1904 fu il meteorologo norvegese Vilhelm Bjerknes a rivoluzionare l’approccio: non serve solo osservare, per prevedere bisogna calcolare il comportamento dell’atmosfera attraverso le equazioni della fluidodinamica e della termodinamica che nel frattempo erano state enunciate. Cervello in tilt Ma i calcoli da fare restavano troppi per il cervello umano. Ci provò il matematico inglese Lewis Fry Richardson nel 1922, ma alla fine desistette e tra il serio e il faceto sostenne che per eseguire in tempo utile le migliaia di operazioni necessarie, si sarebbero dovuti ospitare 64.000 matematici in una sorta di teatro e delegare a ciascuno una parte dei calcoli sullo scacchiere terrestre, con un «direttore di calcolo» incaricato di diffondere il risultato finale ai servizi meteorologici. Fu un progetto di computer umano mai realizzato ma premonitore. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti mettono infatti a punto il primo calcolatore elettronico grazie al genio di John von Neumann, che insieme al matematico e meteorologo Jule Charney e alla sua équipe, il 4 marzo 1950, nei laboratori di Aberdeen, nel Maryland, otterranno la prima previsione numerica del tempo. La strada era ancora lunga ma ormai tracciata, e nei decenni successivi i miglioramenti arrivarono di pari passo con l’incremento delle capacità informatiche, dell’osservazione e della modellizzazione del complesso sistema atmosferico. Nel 1960 la Nasa lancia Tiros-1, il primo satellite meteorologico che permetterà di osservare il movimento delle nubi dall’alto. Oggi per elaborare una previsione il punto di partenza è l’osservazione dei dati atmosferici sull’intero pianeta, grazie alle stazioni sinottiche installate sulla terraferma e sui mari - circa 15 mila su tutto il globo - ma anche ai palloni-sonda che eseguono un profilo verticale dell’atmosfera fino a circa 40 km di altezza. Grafici e carte Un’enorme messe di informazioni che viene continuamente trasmessa ai centri di calcolo, dove viene elaborata da alcuni tra i più potenti supercomputer oggi disponibili, capaci di migliaia di miliardi di operazioni al secondo. Grafici e carte che ne derivano vengono diramate ai centri di previsione, dove il meteorologo le studia apportandovi il suo contributo di esperienza locale. Un sistema che vede al lavoro decine di migliaia di operatori in tutto il mondo, coordinati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale con sede a Ginevra (www.wmo.ch). Oggi il successo delle previsioni ha raggiunto il ragguardevole livello del 95 per cento per le 24 ore successive, vale a dire che, in un anno, mediamente sono solo una quindicina i giorni con previsione del tutto errata. Fino a cinque giorni si può contare su una previsione attendibile, un traguardo tra i più avvincenti della storia della scienza, che i pionieri ottocenteschi hanno tenacemente perseguito senza però riuscire a vederne i frutti. Anche grazie al loro lavoro oggi si pianificano quasi tutte le attività umane e si salvano delle vite. LUCA MERCALLI