James Ellroy, la Repubblica 7/9/2010, 7 settembre 2010
LE DONNE DELLA MIA VITA
Per gentile concessione dell´editore anticipiamo un brano dell´ultimo libro di "Caccia alle donne" in uscita da Bompiani
I miei genitori non erano facilmente classificabili. Jean Hilliker era arrivata a Los Angeles verso la fine del ´ 38. Vinse un concorso di bellezza, fu segata a un provino cinematografico e tornò a Chicago. Abitava in un ampio appartamento con altre quattro infermiere. Una massiccia manza mascolina governava il pollaio. Jean rimase incinta, tentò un autoraschiamento ed ebbe un´emorragia. Un amico dottore rimediò al danno. Jean ebbe una storia con lui, lo scaricò e sposò un ricco babbeo. Il Matrimonio n. 1 fu ammainato in un amen. Jean si ricordò di quanto le fosse sembrata bella Los Angeles e montò su un pullman. Un´amica conosceva una passera di nome Jean Feese. Jean F. era sposata a un bonazzo sbandato di nome Ellroy.
Si conobbero, si infoiarono, si misero a scopare clandestinamente. Mio padre scaricò la Jean n. 1. La Jean n. 2 rimase incinta nel ´47. Si sposarono in agosto. La gravidanza problematica preannunciava la mia vita estaticamente problematica e mappata da memoir.
Rita Hayworth non mi ha mai acchiappato davvero. Era pinzettata, laccata, smaltata, depilata, siringata e imbellettata. Impacchettò mio padre prima dell´implosione Hilliker-Ellroy. Era stata il suo inadempiente deus ex machina. Lui aveva avuto una tresca con Rita. Lei – non lui – l´aveva mandata a monte. Altre tresche lo aspettavano. Il mondo era pieno di altre Rita. Se ne sarebbe raccattata una.
Era un ritornello da sfigato per un bamboccio beota predisposto a crederci. Io lo sentii espresso malinconicamente, piagnucolosamente e ipocritamente. Jean Hilliker lo sentì strillato, singhiozzato e muggito – dietro porte di camere da letto chiuse apposta per me. Lei sottovalutava la mia capacità di origliare ed estrapolare.
Non era a conoscenza del mio dono di decodificare i sospiri. Si scagliava contro mio padre con sempre minore pathos e volume. Io osservavo la sua tristezza e la sua rabbia montare dall´interno verso fuori. Non la sentii mai pronunciarle. La osservavo pensarle e reprimerle dall´esterno verso dentro.
Sei un debole. Ti fai mantenere dalle donne. Non ti permetterò di strapparmi molto altro.
Sapevo che era vero – allora.
Mi schierai con lui – allora.
La odiavo allora. La odiavo perché mio padre era me e una volta che se ne fosse andato sarei rimasto solo con il peso della mia vergogna. La odiavo perché la volevo in modi indicibili.
Ero un Ellroy allora. Adesso sono un Hilliker. Il nostro orgoglio, la mia identità biforcata.
Mio padre fece di me il suo co-denigratore. Il suo mantra era È una troia, è un´ubriacona. Io aderii vigliaccamente alla sentenza. Mi diceva di aver messo detective privati alle costole di mia madre. Ci credevo allora. Adesso so che erano tutte puttanate. Non importava allora. Cherchez la femme. I detective immaginati mi conducevano alle donne.
Tutti i solitari erano detective. Tutti i pedoni maschi erano detective. Tutti gli uomini nascosti dietro un giornale erano espressamente alle mie costole. Mio padre aveva ingaggiato almeno un´intera agenzia investigativa. Un egual numero di segugi pedinava mia madre. Mio padre andava alla scoperta della prossima Rita Hayworth. Il profilo richiesto era "Schiava dell´industria cinematografica" e "Frequentatrice del sottobosco hollywoodiano". (...)
La mia scuola era in Wilshire Boulevard all´altezza di Yale Street. La mia casa tra Princeton e Broadway Street. Il traffico pedonale di Santa Monica era mediamente sostenuto. Raggiungevo la scuola a piedi la maggior parte dei giorni e tornavo a casa facendo un giro largo. La mia area di vagabondaggio aveva una circonferenza di due miglia. Il Wilshire era punteggiato di motel e bettolacce. I miei locali preferiti erano il Broken Drum, il Fox & Hounds e l´Ivanhoe. Bighellonavo in strada e guardavo i detective entrare e squagliarsela. Li degnavo di occhiate fugaci e spostavo lo sguardo su qualsiasi donna capitasse nei paraggi. Mi assicuravo che gli sgherri di mio padre non battessero la fiacca e mi sbizzarrivo con il panorama circostante. È un cinquantennale turbine di facce nei colori delle pellicole anni ´50. (...)
Alcuni dettagli restano vividi. Le studentesse della Uni High sciamano giù dall´autobus del Wilshire. A una di loro penzolano i libri di scuola, legati da una cinghia marrone. Mi affianco a una ragazza grassoccia e la seguo. Ha le braccia nude. Una spallina del vestito continua a cadere, lei continua a tirarla su, ha una peluria scura, tutta screziata di cipria. Guardo le donne che entrano all´Ivanhoe. Una veste all´italiana e si sistema le smagliature dei collant. Le fermate degli autobus erano perfette per le lumate insistite. Vidi diverse volte lo stesso detective all´angolo tra Santa Monica Boulevard e Franklin Street. Chiacchierava sempre con una vicina di casa. Un giorno lei indossava un abito verde scuro ed esibiva un bel pezzo di schiena. La cerniera le si era incastrata al di sopra del gancetto del reggiseno. Disse all´uomo che lavorava a Beverly Hills. Portava una borsa da avvocato anziché la borsetta. Ipotizzai che la sua età fosse la stessa di Jean Hilliker. Fumava sempre un´ultima sigaretta e la gettava sotto la ruota anteriore destra dell´autobus in arrivo.
Una sera la aspettai. Avevo nove anni ed ero ossessionato fino a quel punto. L´autobus diretto a ovest la lasciò alla fermata sul lato opposto della strada. Le stetti alle costole fino a una bicocca in Arizona Avenue. Aprì la porta e mi vide. Mi lanciò un´occhiata schizoide e richiuse. Non la vidi mai più.
Era sorveglianza dentro la sorveglianza. Mi intrufolavo nei bar, usavo il cesso e me la battevo. Entravo in sordide sale da cocktail verboten ai bambini e adocchiavo il bancone. Vedevo donne riflesse nello specchio al di sopra di esso. Vedevo donne rigirarsi assorte il posacenere tra le mani. Vedevo donne a cui dalla punta del piede pendeva una scarpa a tacco basso.
La Samo High e la Lincoln Junior High erano vicine a casa mia. Nei giorni di scuola il mio isolato si popolava di ragazzi verso le quattro del pomeriggio. Maschi e femmine insieme. Ragazzi più grandi di me. Le femmine abbracciavano i libri di scuola e agitavano i seni. Una ragazza appoggiava il mento sui libri e camminava ondeggiando a destra e sinistra. Rimaneva sempre indietro rispetto agli altri. Era chiara di carnagione. Aveva i capelli lunghi e portava gli occhiali. Abitava nella seconda corte dopo casa mia. Non conoscevo il suo nome.
Decisi di chiamarla "Joan".
Spiai il suo bungalow. Diverse volte la vidi leggere.
Sedeva su una poltrona con le gambe incrociate e sbatteva i piedi. Studiai la sua vita domestica. Il padre indossava la papalina da ebreo e stravedeva per lei. La mamma preferiva il fratello minore scimunito. Penso a "Joan" e prego per lei da cinquantuno ininterrotti anni. La consideravo una profetessa allora. Avevo ragione. La vera Joan comparve quarantasei anni dopo. Era identica a quella studentessa dal nome di fantasia, in ogni parte del corpo. Nessuna delle due Joan è ora nella mia vita. La vera Joan aveva meravigliosi capelli striati di grigio. Non la vedo da quattro anni. Ho saputo che ha avuto un figlio. Chissà quanto altro grigio è fiorito tra il nero.
© 2010 James Ellroy / Published by arrangement
with Agenzia letteraria Roberto Santachiara
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