Franco Bechis, Libero 7/9/2010, 7 settembre 2010
I GUAI IMMOBILIARI DEL LEADER DI AN INIZIARONO PIÙ DI QUINDICI ANNI FA
Eccola lì, la foto che stava in un angolo della scrivania di Giorgio Moschetti nell’ufficio dove Gianfranco Fini andava a trovarlo nel lontano 1993 cercando dal segretario amministrativo dell’ex dc romana prima una spinta e poi un aiuto per la corsa alle elezioni di sindaco di Roma contro Francesco Rutelli. Chissà se scappò a Fini l’occhio su quella foto che ritraeva l’ultimo sindaco di Roma della dc andreottiana, Pietro Giubilo, con il suo addetto stampa dell’epoca e un ragazzo di una tv romana che sbucava alle spalle. Era Andrea Ronchi, futuro portavoce di An, futuro ministro, protagonista ancora in erba di quella che sarebbe diventata la scissione di Futuro e Libertà nella destra italiana. Fini vide la foto sicuramente il 18 ottobre 1993, quando tornò da Moschetti dopo essere già sceso in campo a lamentarsi di non essere preso sul serio dall’establishment dell’epoca.
L’allora numero uno del Movimento sociale era deluso perché a una puntata su Canale 5 del Maurizio Costanzo show erano stati invitati tutti gli aspiranti sindaci della capitale, meno Fini. C’era bisogno di qualche appoggio in più, altrimenti la candidatura rischiava di essere un buco nell’acqua. Sarà stato per la foto trovata sulla scrivania, ma fra tante cose quel giorno i due parlarono anche di Ronchi. Moschetti lo conosceva da tempo, sia come giornalista sia perché aveva una società di pubbliche relazioni insieme alla moglie Simonetta con cui ogni tanto cercava di prendere qualche lavoro nella Roma andreottiana, in Comune o nelle società municipalizzate. Fini non poteva sapere che tutti quegli incontri con Moschetti venivano registrati da una microspia piazzata nell’ufficio da un organo di polizia giudiziaria. Non lo sapeva nessuno dei protagonisti, naturalmente, finchè un collaboratore di Moschetti (che all’epoca era senatore) non la individuò e con una certa ingenuità il segretario amministrativo dell’ex dc la portò al primo commissariato di Roma centro sporgendo regolare denuncia.
Le registrazioni
Molti, molti anni dopo chissà come quelle registrazioni che non poterono essere utilizzate nei procedimenti tornarono miracolosamente in mano al registrato che certo le ha ascoltate con amara curiosità e chissà se dopo se ne sarà disfatto. Una cosa era sicura: in quei frammenti audio c’era materiale per riscrivere la storia in modo assai diverso di quanto non abbiano consegnato le cronache. Ci sono anche tutti i particolari di quel finanziamento di 1,3 miliardi di lire dell’epoca (ad essere precisi un miliardo e 350 milioni di lire) pensato per la campagna elettorale del prefetto scelto dalla ex dc, che con Mino Martinazzoli si era trasformata in partito popolare, e che invece prese la direzione del movimento sociale, ad aiutare la scalata di Fini ai vertici della politica nazionale. C’è anche il colloquio di Moschetti con due imprenditori romani, vecchie conoscenze del senatore dc, che erano pronti a puntare le loro risorse economiche sulla campagna elettorale popolare. Trovarono dall’interlocutore una risposta che li sorprese, e fece capire loro che il mondo stava proprio cambiando: «Sul Ppi? Buttate via i vostri soldi. È Fini quello su cui puntare».
Favore non da poco ricevuto dagli eredi di Andreotti giunti al loro capolinea politico. E un po’ di riconoscenza Fini ebbe. Ascoltando le raccomandazioni su quel giornalista-pubblicitario, Ronchi, che presto gli sarebbe stato assai utile. Fu Moschetti a parlargliene assai prima di Gaetano Rebecchini. E fu una fortuna perché negli
anni Ronchi si sarebbe rivelato per Fini una risorsa fondamentale. Messo un po’ da parte fra il 1994 e il 1996, fu Fini a parlare a Moschetti di Ronchi poco prima delle elezioni di quell’anno.
Massoni e Opus Dei
Quando stava per lasciare il governo di Lamberto Dini fu fatto un tentativo in extremis di esecutivo ad ampio spettro costituzionale, affidato alla regia di Antonio Maccanico. Il governo era quasi fatto. Ma all’ultimo lo fece saltare Fini. Così lo raccontò Maccanico agli amici: «Sono tornato a casa in via della Scrofa e ho incontrato Fini sulle scale, che mi ha detto di averci ripensato. Non si fa». Quel giorno in via della Scrofa arrivò il vecchioamicoeconfidenteMoschetti. Chiese a Fini il perché di quel no. Lui gli rispose: «Vogliono fare un governo solo di massoni». Moschetti scherzando disse: «ma se ci sono anche esponenti vicini all’Opus Dei!». Fini rispose: «Perché, l’Opus Dei non è massoneria?». Fu quel giorno che l’ormai presidente di Alleanza nazionale confessò all’amico ex senatore dc di avere dei problemi da sistemare su una partita di immobili, senza specificare se si trattava di mattoni del partito o di famiglia. Ma disse che stava dandogli una mano proprio Ronchi, attraverso alcune società estere da lui conosciute per la sua attività professionale. C’era sempre bisogno di una mano, dalle parti di via della Scrofa. Moschetti aveva ancora tante relazioni utili dopo avere militato ai massimi livelli nella dc capitolina per tanti lustri, fino a diventarne il quasi leader sia pure senza fare ombra a Vittorio Sbardella. Di una mano aveva bisogno Fini sugli immobili, di una mano aveva bisogno Ronchi per le attività professionali che erano ormai a largo raggio. Si occupava di pubbliche relazioni e di campagne pubblicitarie attraverso la Apr pubblicità e marketing, che negli anni avrebbe conquistato cuore e portafoglio delle società pubbliche: Poste, Eni, Enel e così via. Ronchi insieme alla moglie Simonetta Sechi ed altri soci possedeva anche altre società meno note, ma assai attive a Roma, come la Baam srl e la Olifer srl (gestì per un certo periodo il Jazz caffè, poi gli affari andarono peggio e fallì quando Ronchi se ne era già disfatto).
Con il giovane rampante politico di An destinato a scalare tutti i gradini del successo politico si imbarcò all’epoca un altro personaggio cresciuto all’ombra di Fini negli anni. Si chiama Ferruccio Ferranti, oggi è amministratore delegato del Poligrafico dello Stato. È stato anche amministratore di Sviluppo Italia e prima ancora amministratore della Consip, la società che centralizza gli acquisti per conto dello Stato. Una carriera rapidissima sotto l’ombra di Fini. E non è un caso se Ferranti nel tempo libero oggi riesce a sedere anche nel consiglio della Fondazione Fare Futuro, il pensatoio da cui è partita la prima secessione finiana. Ma all’epoca dei secondi anni Novanta, quando Fini chiedeva di tanto in tanto “una mano” a Moschetti, la folgorante carriera di Ferranti era ai nastri di partenza. Era più noto per essere il marito di Piera Salabè, figlia di Adolfo, l’architetto del Sisde e dei misteri di Oscar Luigi Scalfaro alla fine della Prima Repubblica, e il socio di Ronchi nelle agenzie di pr e pubblicità a caccia di commesse pubbliche.
La scalata
Sarà stato Moschetti, sarà stato il potere di Fini e del suo partito, ma arrivarono uno dopo l’altro gli agognati contratti prima dalle imprese pubbliche capitoline e poi dai grandi gruppi pubblici nazionali. I fatturati aumentarono anno dopo anno. E quel ragazzino che il numero due della dc romana fece vedere in foto a Fini in quel lontano 1993 sarebbe diventato l’ombra del leader. Pronto a concentrare nelle sue mani nel 2005 tutto il potere dei colonnelli e ora a diventare il gran ciambellano della secessione di Futuro e Libertà.
Una scalata lunga anni. In cui mai Fini e Moschetti si sono persi di vista. Dai lunghi colloqui del 2004, alla vigilia della decapitazione di Giulio Tremonti per un incidente su Sviluppo Italia. A quelli di qualche anno più tardi, quando la strada di Moschetti ha incrociato quella della nuova famiglia di Fini. Trovando sulla sua strada Sergio Tulliani e uno strano progetto industriale che aveva immaginato per l’Acea...