Angelo Panebianco, Corriere della Sera 07/09/2010, 7 settembre 2010
DESTRA MODERNA O LEGA SUD?
Nell’ origine delle cose si può leggere anche la loro fine. Ufficializzando la rottura con Berlusconi e la nascita di Futuro e Libertà, Gianfranco Fini ha chiuso con una esperienza, quella del Popolo della Libertà, cui aveva aderito, a ridosso delle elezioni passate, non per intima convinzione ma perché costretto dal diktat dell’ attuale premier. Banalmente, non si può stare a lungo dentro un partito carismatico se si detesta (personalmente e politicamente) il capo di quel partito e se si è detestati (personalmente e politicamente) da lui. Fini ha fatto un discorso di respiro, come devono essere i discorsi fondativi di nuove formazioni politiche. Ma non ha rinunciato a qualche tatticismo. Come altri hanno già osservato, si è lasciato aperte tutte le strade, dal patto di legislatura (nella cui praticabilità credono in pochi) all’ interruzione, entro qualche mese, di questa esperienza di governo. Ha negato con forza una sua disponibilità a fare ribaltoni, a uscire dal perimetro del centrodestra, ma ha anche offerto una sponda a quella parte di opposizione che, prima di andare a nuove elezioni, spera di cambiare la legge elettorale. Nel discorso di Fini c’ erano molte cose, anche fra loro piuttosto eterogenee. Alcune, già presenti nel programma originario del Pdl e poi abbandonate per strada (dalle liberalizzazioni alla abolizione delle province alla privatizzazione delle municipalizzate), corrispondono a temi molto popolari presso l’ elettorato di centrodestra, anche se, significativamente, indigesti per la Lega. Altre (questione dell’ immigrazione) erano direttamente finalizzate a ribadire quanto ormai sia grande la distanza che separa Fini dal partito di Bossi. Altre cose ancora servivano a recuperare aspetti di una antica identità (l’ omaggio a Almirante, a Tremaglia e a Tatarella) che, oltre a piacere a una parte dei militanti, potranno rivelarsi preziosi al momento della prova elettorale. È infatti possibile che alle prossime elezioni, tenuto conto della vischiosità dei comportamenti elettorali, Futuro e Libertà si trovi a prendere la maggioranza dei suoi voti nel vecchio bacino dell’ Msi (Lazio, Campania, Sicilia, eccetera). Altre cose, infine (giustizia) servivano a ribadire le ragioni della definitiva consumazione del rapporto con Berlusconi e Forza Italia. Sono rimasti, o così sembra a chi scrive, non del tutto chiariti nel discorso di Fini alcuni aspetti cruciali. Sarebbe utile se il presidente Fini volesse precisare meglio il suo pensiero. Il primo è un tema forse importante più sul piano dell’ identità che su quello pratico. Non si capisce bene cosa farà Futuro e Libertà sulle questioni costituzionali. La destra berlusconiana, quella stessa destra di cui Fini è stato sodale per sedici anni, dal ’ 94 ad oggi, ha sempre suscitato formidabili resistenze a sinistra a causa della sua piattaforma (in senso tecnico) rivoluzionaria o revisionista. In sostanza, quella destra (anche Fini fino a poco tempo fa) non condivide l’ impianto della Costituzione del ’ 48 e propugna (senza riuscire a realizzarli) radicali cambiamenti costituzionali: da qualche forma di presidenzialismo o premierato a mutamenti in profondità (separazione delle carriere dei magistrati, riforma del Csm) dell’ ordinamento giudiziario. Nel suo discorso di Mirabello, ma anche in certi suoi interventi precedenti, Fini ha dato la sensazione di avere totalmente abbandonato le istanze revisioniste (anche le sue battute sul Parlamento ridotto a dipendenza dell’ esecutivo sembrano andare in quella direzione). Antiberlusconismo a parte, questo congedo dal revisionismo costituzionale è forse ciò che più ha accreditato Fini presso la sinistra e, più in generale, presso tutti coloro che nella Costituzione così come è vedono un argine contro il «cesarismo» in generale, e quello berlusconiano in particolare. È corretta questa lettura? Futuro e Libertà sarà un partito totalmente «rappacificato» con la Costituzione del ’ 48? Come dicevo, il tema non è tanto importante dal punto di vista pratico (le riforme costituzionali, ormai è accertato, non si possono fare) ma lo è sul piano identitario. Anche la battuta di Fini sulla legge elettorale da cambiare non aiuta. Dire che si può scegliere fra l’ uninominale e la reintroduzione delle preferenze è forse politicamente furbo (si strizza l’ occhio all’ opposizione) ma non serve a chiarire. Alla fin fine, come Fini sa, chi vuole l’ uninominale pensa a un tipo di democrazia completamente diversa da quella di chi vuole la proporzionale con le preferenze (e, con essa, secondo un’ antica formula non propriamente di destra, la «centralità del Parlamento»). Il secondo tema riguarda il federalismo. Fini, va detto a suo merito, non ha eluso del tutto il problema. Ha riconosciuto che se, nella distribuzione delle risorse, si abbandona il criterio della spesa storica per passare a quello dei costi standard (architrave della riforma detta del federalismo fiscale) il Sud dovrà cambiare tanto del suo modo di usare le risorse pubbliche. Ma poi ha subito annacquato l’ affermazione evocando il «federalismo solidale». Ma, come Fini sa bene, non c’ è possibilità di introdurre veri cambiamenti se non si fanno pagare, nel breve termine, costi assai alti a tutta quella parte del Sud (ma anche a qualche pezzo del Nord) che vive grazie a un pessimo uso del denaro pubblico. Si può invocare quanto si vuole la «solidarietà» ma non c’ è verso di introdurre il federalismo senza che questo comporti dolorose riconversioni. Il che non può non implicare, sotto il profilo politico, almeno nel medio termine, la destabilizzazione di settori rilevanti delle classi dirigenti del Mezzogiorno. Quel che si capisce è che Fini chiede, su federalismo e Sud, un compromesso. Ma sta a lui e ai suoi, allora, dimostrare che un compromesso «virtuoso» è possibile, che evocare la solidarietà non sia solo un espediente per difendere l’ esistente. Sta a lui, in sostanza, dimostrare che Futuro e Libertà, anche su questo terreno, è la destra moderna che egli ha evocato, e non l’ ennesima variante di una qualsiasi «Lega Sud».
Angelo Panebianco