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 2010  settembre 07 Martedì calendario

MAFIA, L´ULTIMO INTRIGO DELL´ADDAURA SPARITE LE TELEFONATE TRA IL BOSS E GLI 007 - I

misteri sulle stragi siciliane non finiscono mai. Dopo i sicari di mafia e di Stato che volevano Giovanni Falcone morto già tre anni prima di Capaci, dopo le indagini dirottate verso il nulla, dopo l´omicidio di due poliziotti troppo leali, adesso sono sparite anche le carte che raccontavano chi - dentro gli apparati - era pronto a far fuori il giudice di Palermo. Un altro intrigo. Un´altra congiura di talpe e spie infedeli.
Anno dopo anno sono scomparsi molti fascicoli dalle inchieste sui massacri dell´estate del ‘92, per esempio oggi non si trovano più i tabulati delle telefonate di uno dei personaggi centrali di queste trame siciliane, un mafioso condannato all´ergastolo per l´omicidio di Paolo Borsellino ma che è scivolato anche nelle indagini sul fallito attentato all´Addaura - il 21 giugno 1989 - contro Falcone. Tutto quello che era agli atti su Gaetano Scotto, boss dell´Arenella che per conto di Cosa Nostra gestiva i rapporti con gli uomini dei servizi segreti, è stato portato via: è stata sottratta la mappa di tutti i suoi contatti, ogni chiamata in entrata e in uscita. Fra le montagne di documenti processuali abbandonati in un magazzino della polizia fino a qualche mese fa, non ci sono più le tracce delle relazioni che il mafioso aveva avuto con quegli 007 con i quali «dialogava» da anni, funzionari dei servizi che sono finiti nelle inchieste sull´Addaura, sulla strage di Capaci, sulla bomba di via Mariano D´Amelio. «Gaetano Scotto è l´uomo chiave dei contatti fra le cosche e l´intelligence, ma i fascicoli dove c´erano i suoi tabulati li abbiamo inutilmente cercati», spiegano gli investigatori che hanno ricominciato a indagare sui complotti dell´estate del 1992.
Così la procura della repubblica di Caltanissetta - senza più i tabulati di Gaetano Scotto - è ripartita da dove aveva lasciato all´inizio della primavera: dalle scorribande dei nostri servizi, da quelle «manine» che strage dopo strage hanno occultato prove e nascosto indizi. È la pista che porta ai mandanti «altri» e che, al momento, ruota intorno a quel nome: Gaetano Scotto.
È il boss che attraversa tutti i misteri di Palermo dal 1989 al 1992, dall´Addaura a via Mariano D´Amelio passando per Capaci. È il «centro» per decifrare i collegamenti che ci sono stati fra i Corleonesi di Totò Riina e alcune fazioni degli apparati, il mafioso che custodisce i segreti delle bombe. Scomparsi i tabulati delle sue telefonate resta lui. Resta lui dietro ogni esplosione, dietro ogni patto di Cosa Nostra con chi aveva deciso che Giovanni Falcone doveva comunque morire.
È stato lui, Scotto - lo racconta ai procuratori di Caltanissetta uno degli ultimi pentiti, Angelo Fontana - a procurare il detonatore che avrebbe dovuto far saltare in aria Falcone il 21 giugno del 1989 davanti alla sua villa dell´Addaura. Quel giorno i sicari arrivarono da terra e non dal mare come si era ipotizzato per vent´anni. Mafiosi e «presenze estranee» a Cosa Nostra, tutti insieme per uccidere il giudice. Con loro fu avvistato, «nelle vicinanze» anche quell´uomo con la «faccia da mostro» che gli investigatori cercano da un anno senza trovarlo. Forse un poliziotto, forse un agente dell´intelligence segnalato da più testimoni sempre sui luoghi di ogni strage in Sicilia.
È stato lui, Scotto - lo racconta un altro pentito, Vito Lo Forte - che un mese e mezzo dopo il fallito attentato all´Addaura avrebbe avuto un ruolo nell´omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida «perché Agostino aveva scoperto un collegamento fra mafia e Questura». Il poliziotto, il giorno dell´attentato, era là sugli scogli e probabilmente salvò la vita al giudice Falcone insieme al collaboratore del Sisde Emanuele Piazza. Ucciso Agostino e fatto sparire Piazza (prelevato nella sua casa di Sferracavallo e poi strangolato, il suo cadavere non è mai stato ritrovato) per cancellare ogni traccia di ciò che era avvenuto all´Addaura. Prima i delitti dei due poliziotti, poi le carte di Nino Agostino - appunti - scomparsi dalla sua casa, poi ancora le indagini sui loro omicidi concentrate su assurde «piste passionali». Delitti e depistaggi.
È stato sempre lui, Scotto - lo raccontano le indagini sviluppate fra il 1993 e il 1994 - a mantenersi in contatto telefonico costante nei giorni della morte di Paolo Borsellino con una base dei servizi segreti acquartierata sulla cima di Montepellegrino, a Castel Utveggio, proprio sopra via Mariano D´Amelio. Ufficialmente a Castel Utveggio c´era una scuola di eccellenza per manager, in realtà era un covo di spie dell´Alto Commissariato che fu smobilitato un paio di settimane prima che l´inchiesta sulle stragi siciliane puntasse proprio in quella direzione. Una quindicina di anni fa erano stati acquisiti tutti i tabulati delle telefonate di Gaetano Scotto con quei personaggi della scuola per manager, i procuratori di Caltanissetta avrebbero voluto riesaminarli dopo la scoperta di un coinvolgimento dei servizi nelle stragi, ma quando hanno ordinato alla polizia giudiziaria di recuperare i tabulati non hanno trovato un solo foglio. Telefonate fra alti funzionari e Gaetano Scotto e telefonate fra alti funzionari e Giovanni Scaduto, un boss di Bagheria condannato all´ergastolo per l´omicidio dell´esattore Ignazio Salvo e già in contatto con i cellulari clonati di Gioacchino la Barbera e Antonino Gioè, due degli attentatori di Capaci. Intrecci. Tracce telefoniche che partono da una strage e portano all´altra. Chiamate insistite nelle ore precedenti e successive alle bombe negli Usa, in Slovenia, in Germania. E in una stanza di Villa Igiea, il lussuoso hotel palermitano in stile liberty che probabilmente era diventato - fra una bomba e l´altra - la base operativa di qualcuno.
I tabulati di Gaetano Scotto, già allora - durante le indagini fra il 1993 e il 1994 - fecero intuire che non era stata soltanto la mafia siciliana a ordinare prima l´uccisione di Giovanni Falcone e neanche due mesi dopo quella di Paolo Borsellino. Ecco perché i tabulati non si trovano più.
Tutta l´inchiesta di Caltanissetta ricomincia ora da un collegamento certo fra il fallito attentato all´Addaura e via Mariano D´Amelio, tutto ricomincia da Gaetano Scotto che dopo l´ergastolo per l´uccisione di Borsellino tre mesi fa è stato indagato anche per l´esplosivo davanti alla villa di Giovanni Falcone. Il suo nome è stato svelato anche da Massimo Ciancimino, che nel suo interminabile tira e molla di rivelazioni avrebbe visto Scotto in compagnia dell´autista del famigerato «signor Franco», l´uomo dei servizi segreti che per una trentina di anni ha protetto suo padre Vito. L´identità di quest´altro boss degli apparati - «il signor Franco» - è ancora ignota. E, stando alle identificazioni ufficiose e alle smentite ufficiali (e ai nomi altamente improbabili fatti circolare ad arte come puro veleno) del rampollo dell´ex sindaco mafioso di Palermo, ignota probabilmente resterà ancora.