Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il Quirinale ha diffuso una nota sulle dimissioni di Napolitano, di cui s’è ricominciato a parlare dopo uno scoop di Stefano Folli che su “Repubblica” le dà per certe prima della fine dell’anno.
• Cioè il Presidente non pronuncerebbe nemmeno il discorso del 31 dicembre?
Il Presidente resterebbe in carica fino all’elezione del suo successore. Supponendo che si dimettesse domani mattina (il che non è), ci vorrebbero poi i tempi tecnici per convocare gli elettori, più di mille persone, e dare inizio alla kermesse. Saremmo in ogni caso a gennaio, e Napolitano, la sera del 31 dicembre, potrebbe in ogni caso salutare gli italiani nel suo nono e ultimo discorso. Ma quelli che se ne intendono dicono che la frase di Folli va letta così: il capo dello Stato annuncerà le sue dimissioni prima della fine dell’anno e poi le formalizzerà ai primi di gennaio. Annuncio e formalizzazione sono due cose diverse.
• Che cosa dice la nota del Quirinale?
«I giornali hanno dato ampio spazio a ipotesi e previsioni relative alle eventuali dimissioni del presidente della Repubblica e la presidenza della Repubblica non ha pertanto né da smentire né da confermare nessuna libera trattazione dell’argomento sulla stampa. Restano esclusiva responsabilità del capo dello Stato le decisioni che riterrà di dover prendere. E delle quali come sempre offrirà ampia motivazione alle istituzioni, all’opinione pubblica, ai cittadini. Il presidente della Repubblica, nel dare la sua disponibilità - come da molte parti gli si chiedeva - alla rielezione che il 20 aprile 2013 il parlamento generosamente gli riservò a larghissima maggioranza, indicò i limiti e le condizioni - anche temporali - entro cui egli accettava il nuovo mandato». Questi limiti e condizioni non gli hanno impedito di «esercitare nella loro pienezza tutte le funzioni attribuitegli dalla Costituzione, tenendo conto anche della speciale circostanza della Presidenza italiana del semestre europeo».
• Questa nota, per noi, povere menti di comuni cittadini, del tutto sibillina, conferma o smentisce l’annuncio di Stefano Folli, a cui peraltro hanno creduto tutti?
Stefano Folli è analista politico troppo autorevole perché qualcuno possa dubitare delle sue fonti. E del resto solo una smentita secca e inequivoca ci avrebbe convinto che la previsione di sabato era stato un azzardo. Direi comunque che la nota conferma. Il prolungamento del settennato viene definito «straordinario», quindi nessuna meraviglia per un ritorno alla «ordinarietà» delle istituzioni. Il concetto è ribadito subito dopo: i limiti della rielezione erano anche temporali. E infine viene fornita la ragione per cui si deve aspettare gennaio: il semestre di presidenza italiana. L’insieme è rafforzato da un’intervista di ieri di Emanuele Macaluso (intimo del Presidente) il quale conferma, e spiega che vi sono, nella decisione di ritirarsi, anche ragioni personali, Napolitano compirà novant’anni alla fine di maggio ed è naturalmente pieno di acciacchi, i medici lo costringono a medicine che gli tolgono il sonno, da altre fonti sappiamo di un forte male alla spalla. Quindi accadrà. E, come aveva detto Renzi nei giorni del suo insediamento a Palazzo Chigi, sarà questo Parlamento a eleggere il successore, benché moralmente delegittimato dalla sentenza della Consulta che ha proclamato incostituzionale una buona parte della legge elettorale con cui gli attuali deputati e senatori hanno conquistato il loro seggio e benché questo Parlameno sia anche probabilmente moribondo, perché le guerre civili in corso nel Pd e in Forza Italia rendono problematica una sua sopravvivenza oltre la primavera.
• Quindi il primo atto del nuovo presidente sarà lo scioglimento delle Camere?
Non il primo, ma forse uno dei primi.
• Ma riuscirà un Parlamento che non è stato capace in venti sedute di eleggere tutti e due i giudici costituzionali a mandare rapidamente al Quirinale un nuovo capo dello Stato?
È il problema dei problemi. Esaminati i nomi in corsa, nessuno di primo acchito sembra avere un sostegno sufficiente. Stiamo parlando di una lista ancora piuttosto lunga. Considerando impossibili fin da ora (ma chissà) le candidature di D’Alema e Laura Boldrini (che ieri ha auspicato l’elezione di una donna), i nomi ai nastri di partenza (magari anche contro le loro volontà) sono Amato, Bersani, Casini, Cassese, Castagnetti, Chiamparino, Delrio, Draghi, Fassino, Finocchiaro, Franceschini, Gentiloni, Grasso, Lanzillotta, Mattarella, Padoan, Pinotti, Prodi, Veltroni, Zanda. Troppi per essere veri. Il premier ha chiarito che stavolta non esiste questione di genere (quindi potrebbe essere un maschio) e che nessuno potrà eleggere il Presidente prescindendo dai suoi 400 voti sicuri (sui 599 che sostengono il governo). Macaluso ha aggiunto: «Quelli che avrebbero le qualità e un prestigio europeo non hanno i voti». Credo che sarà lunga.
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