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 2014  novembre 10 Lunedì calendario

Le tre anime del governo e la nostalgia delle toghe per Moro e Berlinguer

Affiora un sentimento di rimpianto, e forse di nostalgia, nelle parole del magistrato ultracinquantenne che evoca i tempi andati: «Dall’altra parte non abbiamo Moro e Berlinguer, che cercano di capire le ragioni e sono disposti a discutere, ma Renzi, a cui interessa solo ottenere una riforma subito, anche se malfatta e inutile», dice dal palco Lorenzo Miazzi, giudice della Corte d’appello di Venezia, esponente di Area, il cartello che riunisce le correnti di sinistra delle toghe. «Questi le riforme le faranno, e per noi l’alternativa è subirle o provare a guidarle. Lo sciopero si potrà anche fare, ma solo alla fine, in maniera unitaria e decisa, se salta tutto»; prima ci sono altre strade: «Di fronte a progetti di riforma offensivi nei modi e nei contenuti, al decisionismo muscolare, non servono reazioni viscerali, ma risposte istituzionali che ci aiutino a raggiungere obiettivi». 
L’intervento di Miazzi, nell’aula magna del «palazzaccio» romano di piazza Cavour, è uno dei più applauditi all’assemblea dell’Anm. Per un giorno (festivo) le mura altissime della Corte di cassazione non ascoltano requisitorie, arringhe e sentenze ma una discussione serrata sulle risposte da dare a un governo con il quale i magistrati vedono rinnovarsi l’eterno duello tra politica e giustizia. Con una novità, che non si limita al ricambio generazionale impersonato da Matteo Renzi: stavolta sembra mancare una linea unitaria nel potere politico, all’interno del quale si muovono almeno tre anime. 
C’è quella del premier, che ha deciso di incassare risultati immediati anche sul terreno della giustizia per rimarcare la propria diversità rispetto all’immobilismo del passato. Lo fa a colpi di slogan e provvedimenti-spot che hanno avuto l’effetto di irrigidire la magistratura e perfino compattarla nell’indignazione verso chi la raffigura come una casta di impiegati un po’ privilegiati e un po’ sfaticati. Le ferie tagliate per decreto legge allo scopo dichiarato di ottenere una «giustizia più rapida» ha lasciato il segno; così come lo scherno nei confronti dell’Anm, trattata al pari della Cgil o qualunque altro sindacato che «non fermerà il cammino delle riforme». E lo slogan «chi sbaglia paga», in materia di responsabilità civile, è considerato l’altro cavallo di una battaglia più di propaganda che di sostanza. 
A meno che non sia un cavallo di Troia per intimidire e influenzare l’azione giudiziaria: è quello che sembra perseguire – nella visione delle toghe – l’ala di centrodestra del governo, che può contare sul viceministro della Giustizia Enrico Costa, Ncd, già schierato con le legioni di Berlusconi nelle legislature precedenti. È lui il paladino di norme considerate più punitive rispetto allo stesso progetto governativo, che secondo i giudici sono vero e proprio attentato all’indipendenza della giurisdizione. «È un disegno dalle finalità afflittive che tende a condizionare i magistrati», attacca Carlo Fucci, che nell’Anm e nella corrente centrista di Unità per la Costituzione ha avuto ruoli importanti, mentre oggi è un «indipendente» che cavalca lo sciopero immediato. Che non ci sarà, ma potrà esserci in futuro. 
Estremismi a parte, l’assemblea intera ritiene che introdurre la responsabilità diretta del giudice, o inserire l’interpretazione delle norme tra i comportamenti da sanzionare civilmente, significherebbe minare alla base l’autonomia della magistratura. Ritrovandosi su posizioni non troppo distanti da quelle annunciate dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, pd di provenienza Pds e ancor prima Pci, nonostante la giovane età. Che ancora ieri ha assicurato che le modifiche «non saranno un attacco all’indipendenza dei giudici». 
Orlando rappresenta la terza anima del governo e, paradossalmente, con il provvedimento che ha in mente potrebbe diventare il principale alleato delle toghe in questa controversia. Ma il testo governativo ancora non c’è, e i magistrati – consapevoli delle differenze tra le varie anime – aspettano di vederlo prima di tranquillizzarsi; per verificare che ai proclami corrispondano atti concreti, corrispondenti a quanto promesso. In attesa di poter discutere di provvedimenti che affrontino davvero le emergenze della giustizia. 
Sullo sfondo dell’aula magna, mentre gli oratori si susseguono al microfono, scorrono le diapositive con cui l’Anm ribatte a quelle di Palazzo Chigi. «Falso in bilancio, corruzione, prescrizione, reati economici: a quando una vera riforma?». È ciò che sottolinea Ezia Maccora, giudice delle indagini preliminari a Bergamo (è lei che ha fatto arrestare Bossetti per il delitto di Yara), già componente del Csm per Magistratura democratica: «Se il governatore della Banca d’Italia dice che urge la legge sull’autoriciclaggio per contrastare una criminalità che ha fatto fuggire investimenti esteri per 16 miliardi di euro, perché il governo si occupa d’altro? Dopo vent’anni di aggressioni non dobbiamo farci prendere dalla stanchezza e rassegnarci, bensì dire e pretendere la verità sullo stato della giustizia in Italia».