il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2014
Il politologo Gianfranco Pasquino non crede alle dimissioni del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, entro fine anno: «Non si fida di lasciare il Paese in mano a dilettanti sciagurati e preferisce rimanere. Se dovessi scegliere io il successore direi Giuliano Amato ed Emma Bonino. Hanno senso del dovere, conoscenza delle istituzioni e della politica»
«Un passo avanti il Quirinale lo ha fatto: una nota, dove non si smentisce né si conferma, ma preferirei la chiarezza. Per ora siamo al campo delle ipotesi e io ho troppo rispetto per le istituzioni, non posso prendere per buono un retroscena». Il professor Gianfranco Pasquino, politologo, in passato eletto come senatore nel centrosinistra, non crede alle dimissioni del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, entro fine anno, e comunque quello che non gli garba affatto è il metodo con il quale la notizia è arrivata.
Scusi professore, ma tutto sembra andare nella direzione che vuole il presidente dimissionario a fine anno.
«Non direi. Fino a oggi devo basarmi sul retroscena di qualche quirinalista. Non sono abituato così. La presidenza della Repubblica è un passaggio troppo serio per essere affidato alle ipotesi o alle supposizioni. Questa è la mia prima esternazione».
Si getti anche lei nel campo delle ipotesi, per una volta: crede che Napolitano lascerà?
«Se proprio devo azzardare dico di no, non si dimetterà entro breve. Il motivo è che non si fida di lasciare il Paese in mano a dilettanti sciagurati e preferisce rimanere. Questo ho sempre capito dalle sue parole. Ha sempre detto di avere a cuore la stabilità politica del Paese, dunque non gli resta che andare avanti. Poi se sono sopraggiunti altri motivi non lo so. Per questo dico che preferirei una nota ufficiale».
Mettiamo che lasci. Siamo ancora nel campo delle ipotesi.
La riflessione sarebbe più complessa. L’eredità che lascia Napolitano è ingombrante, probabile che vada ripensato anche il metodo di elezione del presidente della Repubblica».
Lei dice che è possibile pensare a un’elezione diretta del Capo dello Stato?
«Napolitano, forse anche inconsapevolmente, o forse no, ha dimostrato che il presidente della Repubblica ha in mano un potere enorme. Questa è stata la missione del suo mandato. D’altronde, anche i più autorevoli costituzionalisti hanno sempre sostenuto che in caso di vuoto politico il Quirinale assumesse più poteri. E questo credo che sia accaduto. Ritengo possibile l’elezione popolare del Capo dello Stato. Sarebbe in linea con quello che abbiamo visto».
Ma il parlamento non perderebbe la sua più grande prerogativa? Quasi l’unica, visto che le leggi le fa il governo per decreto.
«Intanto parliamo di un parlamento dimezzato, se dovessero andare avanti le riforme costituzionali. Per l’altra metà che prerogative dovrebbero avere? Sono una schiera di nominati, non sono stati eletti, sono stati scelti dai partiti».
Ma tecnicamente sarebbe possibile un passaggio del genere?
«Basta aggiungere un articolo alla Costituzione senza toccarne altri, mi pare che le premesse ci siano».
Se dovesse fare una previsione sul nome?
«L’età ce l’ho, conosco le istituzioni, una certa esperienza l’ho maturata. Ci sono però alcuni problemi sul mio nome».
Quali?
«Non sono renziano, sono fuori dal patto del Nazareno e non sono donna».
E allora chi candidiamo?
«Mi piacerebbe non parlare di nomi, ma di metodo. Walter Veltroni, quando candidò Carlo Azeglio Ciampi, fece il suo nome ed elencò dieci motivi per cui era doveroso appoggiare il suo nome. E Ciampi arrivò al Quirinale. Mi piacerebbe che oggi qualcuno dicesse: ok Veltroni per questa lunga serie di motivi».
E se dovesse scegliere lei?
«Probabilmente farei i nomi di Giuliano Amato ed Emma Bonino. Hanno senso del dovere, conoscenza delle istituzioni e della politica. Ma per fortuna non scelgo io».