la Repubblica, 10 novembre 2014
Alghe a Pompei e capperi al Colosseo: venti capolavori italiani a rischio. Un team speciale di biologi per salvare l’archeologia. «Si possono risparmiare milioni anche solo prevenendo l’attacco di insetti e muffe»
Il Colosseo e la Domus Aurea sono a rischio? Chiamate i biologi. La grande bellezza risorge grazie a questi Indiana Jones armati di microscopio e in camice bianco. Le piante di capperi infestano l’Anfiteatro Flavio, gli affreschi della Domus Aurea sono brutalizzati da radici di conifere e l’ailanto deturpa Pompei. Per restituirgli il ruolo di portabandiera delle italiche meraviglie, adesso arrivano i biologi, applicati in difesa del patrimonio culturale. Non solo l’arte del restauro, quindi, ma anche la scienza può fare molto per i 20 e più monumenti in difficoltà.
«Con un corretto utilizzo della biologia si potrebbe risparmiare un terzo delle risorse che si investono quando il monumento è già rovinato», spiega Ermanno Calcatelli, presidente dell’Ordine nazionale dei biologi. «È fondamentale identificare gli organismi che minacciano il nostro patrimonio artistico e valutare, per esempio, se un lichene è aggressivo. Il risparmio potenziale è alto, visto che in Italia abbiamo oltre 60 mila siti archeologici». Aggiunge Giulia Caneva, biologa in prima linea nella cura del patrimonio culturale: «Tutti i monumenti vanno incontro a un degrado naturale: per loro serve una diagnosi che sia insieme preventiva e curativa». Certo, c’è malato e malato. La Domus Aurea, per la sua natura ipogea, è uno dei beni più a rischio perché le infiltrazioni d’acqua creano alghe e funghi che attaccano gli affreschi, mentre le radici degli alberi possono arrivare a distruggere le pitture. Doppie le incognite per il Colosseo: «Alla base c’è un proliferare di infestazione tipiche degli ambienti umidi come muschi, fichi e sambuco, mentre nella parte alta il cappero, grazie al sole, moltiplica le sue radici che vanno in profondità».
A volte gli interventi dell’uomo nati per riparare i danni finiscono per peggiorare il quadro. «Nella chiesa di San Clemente a Roma era stato ideato un impianto d’illuminazione non calibrato e sono sorti batteri originati dal caldo eccessivo – spiega Matteo Montanari, docente per la biologia del restauro – Un biologo può far risparmiare tempo e denaro, anche perché per un suo intervento non sempre servono sostanze chimiche».
Gli istituti del restauro danesi, svedesi e britannici sono all’avanguardia nel monitoraggio predittivo e pretendono altrettanta cura. Un esempio per tutti? «Quando arrivò a Bologna il quadro della Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer – racconta Montanari – il facility report (la relazione tecnica che fissa i requisiti della sala che prende in prestito l’opera) era richiesto il monitoraggio di insetti e muffe». Le tecniche per salvaguardare i nostri monumenti, assicura Montanari, spesso ci sono e costano poco: «Basterebbero dei dispositivi per i filtri dell’aria, per evitare l’umidità. Ovviamente, bisogna evitare di correre ai ripari quando il danno è fatto, ma per fortuna molti biologi lavorano già nei Beni culturali e negli istituti del restauro».
Anche i chimici confermano l’importanza di giocare d’anticipo. «In Italia, l’incuria e la dimenticanza sono il problema principale», spiega Antonio Sansonetti del Cnr, consulente tecnico per gli interventi di conservazione, «l’acqua si porta dietro una quantità di microrganismi nocivi, mentre le radici degli alberi riescono a infiltrarsi nelle strutture murarie. La loro sinergia con l’inquinamento può essere fatale, basti pensare che i nostri monumenti si sono degradati di più negli ultimi 40 anni che nei quattro secoli precedenti». Pochi sanno che a Roma arriva lo “spray marino” che dal mare viaggia sino a 200 chilometri l’ora. Oppure che le prime piogge sono nefaste perché l’acqua è carica di sostanze inquinanti. O ancora che il granito è un gran combattente mentre il travertino e il tufo napoletano sono i materiali più delicati. Lasciamoli curare (anche) dai biologi: per loro non hanno segreti.