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 2014  novembre 10 Lunedì calendario

MINISPREMUTA FISCALE PER I BIG DEL WEB

Cosa lega Yahoo!, Google, Amazon, Apple e Facebook? Sono tutte imprese di successo nel mondo digitale. Fatturano molti quattrini. E generalmente non pagano le imposte laddove producono il loro reddito. A ciò si aggiunga che nel passato sono tutte state oggetto delle ispezioni della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate. E per molte di loro sono aperti fascicoli di reato anche presso le Procure della Repubblica. In Italia, come si sa, non pagare imposte per una cifra superiore ai 50mila euro è un reato punibile con la galera. Che, sia chiaro, non auguriamo ai giganti del digitale e men che meno ai loro rappresentanti in Italia.
Gli accertamenti nei confronti di queste star del digitale americano sono iniziati a cavallo tra il 2010 e 2011. Sono esplosi nel 2012. Oggi sono sott’acqua. I procedimenti amministrativi sono partiti prima o parallelamente a quelli penali, e i primi non estinguono i secondi. La visibilità su possibili transazioni può rimanere confidenziale e non pubblica. Cosa che ovviamente non può avvenire per un procedimento o un dibattimento penale. Insomma sembrerebbe proprio che fino ad ora non sia successo nulla di fiscalmente rilevante.
Queste aziende non sono infatti tecnicamente fuori legge, o meglio è molto difficile dimostrare che lo siano. E il motivo è semplice. Quando furono fatti i trattati fiscali internazionali si stava in un’altra era. Quella preinformatica. La localizzazione di una produzione era indispensabile per fare ricavi. Oggi i server di Google possono stare ovunque, così come i loro contact center. Apple e Amazon in Italia hanno magazzini a cui vengono inviati pezzi disegnati magari in America, prodotti in Vietnam o Cina, e distribuiti da centri di smistamento in Irlanda.
Per dirla semplice con questi signori non si può stabilire con facilità che essi abbiano una stabile organizzazione nel paese dove fanno il fatturato (Francia, Italia, o Germania) e dunque viene a mancare il presupposto giuridico, consolidato a livello internazionale, per poterli tassare.
Il paradosso (e questo per lo più per il Fisco americano) è che grazie a ruling europei (accordi fiscali fatti principalmente con l’Irlanda e il Lussemburgo) le tasse non le pagano neanche in America. Gli Stati Uniti prevedono infatti un codicillo di esenzione fiscale per utili realizzati all’estero, anche in paradisi fiscali, e non rimpatriati.
Una svolta si è avuta con la legge di stabilità dell’anno scorso. Si è cambiato il verso con cui vedere il problema. Non si è cercata più la stabile organizzazione, ma la produzione di valore aggiunto attraverso un rapporto che si può definire di agenzia. Sono cose molto tecniche, ma il principio di base è quello di passare dal tassare i costi aggiuntivi subiti da questi colossi in Italia (costi ridottissimi) al tassare la distribuzione del prodotto secondo una logica di Transfer price. Anche se non seguite bene tutto il ragionamento fiscalese, la sostanza è che grazie a questa innovazione dalle prime analisi sembrerebbero essere arrivati nelle casse del fisco un centinaio di milioni aggiuntivi di gettito, derivanti proprio da queste imprese digitali. La strada intrapresa dell’Italia potrebbe così essere più appropriata rispetto a quanto deciderà l’Ocse in materia di Beps (Base erosion and profit shifting), cioè contrasto a pratiche elusive.
Cento milioni per aziende che da noi fatturano miliardi sono pochi o tanti? Ognuno può fare le sue considerazioni. Ma attenti ad andare con il machete. Google si calcola realizzi in Italia (numeri ufficiali non ci sono e si deve andare per differenza) un fatturato tra gli 800 e 1,2 miliardi. Ma quali sono i suoi veri costi, quali le spese di avviamento, di ricerca e generali? Insomma per realtà così complicate calcolare l’utile netto su cui applicare le imposte è materia complessa, sottoposta a trattati internazionali. E il comportamento di uno Stato potrebbe sottrarre imponibile al suo vicino. O al contrario, come dimostrano i ruling del paese di Juncker e cioè il Lussemburgo, la benevolenza di alcuni potrebbe compromettere gli introiti degli altri. Insomma in materia di fiscalità internazionale, bisogna stare molto attenti a come muoversi.