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 2014  novembre 10 Lunedì calendario

La lobby più potente in Italia è quella dell’Aci. Uno dei peggiori esempi della burocrazia italiana, che il governo rottamatore doveva mettere in riga, è uscito come sempre indenne dalla Legge di stabilità

Come aveva ragione Pierluigi Bersani quando, alle prese con le sue “lenzuolate”, si lamentava: “Non gli avvocati, i farmacisti o i commercianti: la lobby più forte d’Italia è quella dell’Aci”. Passati tanti anni, adesso se ne è accorto anche Matteo Renzi, che come si sa non ama ammettere le sconfitte, ma che dinanzi a quella lobby ha mestamente capitolato, pur continuando a proclamare: “Io non mi arrendo”. Uno dei peggiori esempi della burocrazia italiana, che il governo rottamatore doveva mettere in riga, è uscito come sempre indenne dalla Legge di stabilità.
L’articolo 30, che prevedeva la fine del Pubblico Registro Automobilistico (Pra) gestito dall’Aci, è scomparso e così gli italiani continueranno a pagare quasi 200 milioni di euro all’anno per mantenere in vita un inutile doppione rispetto alla Motorizzazione civile. Siccome questo paese non si fa mancare niente, ha infatti due distinti registri automobilistici: la Motorizzazione che rilascia la carta di circolazione e il Pra, cioè l’Aci, che rilascia il certificato di proprietà. Non c’è bisogno di un premio Nobel per capire che basterebbe il cosiddetto libretto di circolazione per dimostrare la proprietà. Ma se il Pra, creato nel 1927 in epoca fascista, fosse abolito e accorpato alla Motorizzazione, che peraltro non è un gioiello di efficienza, l’Aci, perderebbe i due terzi delle sue entrate e cadrebbe in coma irreversibile.
Nato nel 1898, il Club, che vive su una tassa occulta pagata da tutti noi, è un grande feudo: 1.500 delegazioni, 106 uffici provinciali, 3.000 dipendenti, 900 poltrone da occupare, almeno una settantina di dirigenti, 153 società partecipate, tra cui l’assicurazione Sara e l’Autodromo di Vallelunga, un presidente (da 264 mila euro di stipendio) e tre vicepresidenti nazionali, soltanto un milione di soci tra le decine di milioni di automobilisti.
Conoscere il bilancio consolidato di questo carrozzone burocratico è praticamente impossibile, ma si sa che la riscossione del bolloauto procura un introito di oltre 40 milioni. Anche se spesso chi vuole essere perfettamente in regola con il pagamento della tassa di possesso è disincentivato a farlo: chiedere in molte delegazioni di pagare con carta di credito o bancomat (con l’aggiunta di un “diritto”) significa farsi squadrare come pericolosi truffatori; tentare poi in un ufficio Aci a Milano di poter pagare la tassa, risiedendo magari a Roma o a Reggio Calabria, è una missione impossibile.
Il compianto commissario alla Spending review Carlo Cottarelli aveva proposto di unificare il Pra e la Motorizzazione civile e, a parte l’Aci, quasi tutti sembravano d’accordo, come ai tempi di Bersani e, più recentemente di Mario Monti, che aveva addirittura inserito la riforma nel discorso inaugurale del suo governo. Ma poi, nelle more dell’iter legislativo, la lobby si mobilita come un sol uomo e la norma misteriosamente sparisce. Tra i sospetti insabbiatori c’è il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, quello che ha appena licenziato una demenziale circolare nella quale si ordina di annotare sulla carta di circolazione, previo balzello di qualche decina di euro, il nome del conducente di un’auto diverso dal proprietario per più di trenta giorni (pensate quanti fermati dalla polizia senza annotazione dichiareranno: sì, la guido da più di un mese!)
Non ci sarebbe da stupirsi visto che l’Aci non molto tempo fa è stato terra di conquista della destra milanese, di cui il ministro di Renzi è comunque esponente per l’indelebile Dna ciellino. Per chi l’avesse dimenticato, ai vertici furono collocati il figlio di Bruno Ermolli, il Letta milanese di Berlusconi, il figlio di Ignazio La Russa e il fidanzato della ministra berlusconiana Michela Brambilla.