il Giornale, 10 novembre 2014
Continua la guerra dei figli contro Caprotti. Il patròn di Esselunga non molla l’azienda. I giudici gli danno ragione. Ma la prole non si rassegna... Ennesimo ricorso, si va in Cassazione: in ballo un patrimonio miliardario
Un ulteriore capitolo si aggiunge alla lunga lite giudiziaria che oppone Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, e due dei tre figli, Giuseppe e Violetta. Oggetto della contesa è la proprietà delle azioni della società capogruppo Supermarkets Italiani, che il padre aveva intestato ai figli in via fiduciaria nel 1996 e si era ripreso nel 2011. Caprotti ha già avuto ragione in due gradi di giudizio: un lodo arbitrale e una sentenza della Corte d’appello di Milano. Ieri si è appreso che Giuseppe e Violetta hanno depositato un ricorso in Cassazione. È una mossa che riaccende le polemiche attorno a una delle più note aziende italiane pochi giorni dopo che Caprotti aveva ammesso senza ipocrisie le difficoltà in cui anche Esselunga si trova: un gruppo in salute, che continua ad aprire punti vendita (pochi giorni fa a Firenze è stato inaugurato il nono supermercato del 2014) e ad assumere personale, ma al quale la crisi dei consumi ha eroso il 30 per cento degli utili. I figli contestano al padre il possesso delle azioni.
È una guerra di successione che non tocca i successi commerciali di Esselunga: 9 per cento del mercato italiano della grande distribuzione, circa 7 miliardi di euro di fatturato, oltre 20mila dipendenti, un piano di duemila assunzioni tra il 2014 e il 2015. Un modello imprenditoriale legato alla straordinaria figura di Caprotti, che la lunga vicenda giudiziaria promossa dai figli maggiori punta a incrinare.
Nel 1996 Caprotti sr aveva intestato a Giuseppe e Violetta in via fiduciaria la proprietà delle azioni della holding che controlla Esselunga, riservando per sé l’usufrutto e il diritto a rientrare nella piena proprietà con una semplice comunicazione alla società fiduciaria. Il fondatore manteneva in questo modo la guida operativa e allo stesso tempo preparava la successione. Ma nel 2011 Bernardo Caprotti si è ripreso le sue azioni, cosa che secondo i figli non poteva fare. Si erano convinti di essere già diventati i proprietari dell’impero costruito dal padre.
Per dirimere la vicenda era stato nominato un collegio arbitrale di tre famosi giuristi (Pietro Trimarchi, Natalino Irti e Ugo Carnevali) che aveva dato ragione all’ottuagenario imprenditore. Decisione confermata dalla Corte d’appello di Milano, la quale ha osservato tra l’altro che i figli hanno potuto sottoscrivere gli aumenti di capitale con denaro girato loro dal padre attraverso donazioni. Sconfitti per la seconda volta, i figli di Caprotti tentano ora la strada del ricorso in Cassazione sollevando una serie di difetti di diritto del lodo, non rilevati dalla Corte d’appello. In ballo c’è una montagna di soldi e il destino di un grande gruppo imprenditoriale che deve passare di mano. Il fondatore ha appena compiuto 89 anni, ha lasciato da qualche tempo tutte le responsabilità formali in azienda ma si occupa ancora delle strategie di fondo e ama inaugurare di persona i nuovi supermercati. La successione di Esselunga è un capitolo sul quale Caprotti è sensibilissimo: nel 2007 scrisse il bestseller «Falce e carrello» proprio per contrastare le pressioni della politica che lo spingevano a cedere l’azienda alle coop.
L’udienza potrebbe tenersi anche fra tre anni o più. Il prolungarsi della lite giudiziaria, nonostante due gradi di giudizio favorevoli al fondatore, potrebbe complicare eventuali mutamenti di assetto in Esselunga. Al contenzioso arbitrale si aggiunge poi una causa civile promossa sempre dai figli davanti al Tribunale civile di Milano. Anche in questo caso la contesa è sulla proprietà delle azioni. E con ogni probabilità, anche in questo procedimento potrebbe esserci una coda di ricorsi in appello e in Cassazione.