La Stampa, 10 novembre 2014
A Pechino, traffico a targhe alterne, scuole, aziende, fabbriche e forni crematori chiusi. Inoltre è vietato cucinare l’anatra arrosto o bruciare le offerte per i morti. Tutto per avere il cielo blu per un giorno, quando i 21 capi di stato atterreranno per l’Apec dei Paesi dell’Asia/Pacifico. I cinesi vanno in vacanza forzata per non inquinare
Il colore del cielo è quello desiderato: «blu Apec», come è stato soprannominato dai pechinesi lo sforzo massiccio in cui si è impegnato il governo cinese per presentarsi al mondo con un’aria più respirabile in occasione del summit del gruppo di Cooperazione Economica dell’Asia-Pacifico. Crudeltà della sorte, però, l’analisi dell’aria resta implacabile, e riporta una concentrazione di micro particelle PM25 superiore a 104, valore per cui respirare continua a essere considerato «malsano» secondo gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Salute.
E sì che le misure adottate per purificare il cielo e non far sfigurare Pechino di fronte ai 21 capi di Stato in arrivo – fra cui Obama e il primo ministro giapponese Abe – non hanno lasciato nulla al caso: per limitare il traffico nelle strade cittadine sono state temporaneamente chiuse scuole e aziende (anche se quest’inaspettata vacanza verrà fatta scontare con fine settimana lavorativi per il resto del mese di novembre). Le auto possono circolare solo a targhe alterne, ma tutto ciò che si poteva chiudere è stato chiuso: i crematori hanno l’ordine di non operare fino al giorno in cui i leader mondiali non saranno ripartiti, e anche la tradizione di bruciare offerte per i morti di fronte alle tombe è stata temporaneamente sospesa, così come sono state imposte restrizioni su chi brucia incenso nei templi.
Ma anche per i vivi le cose non sono più semplici: i ristoranti di anatra arrosto – uno dei piatti più noti della cucina di Pechino – hanno avuto l’ordine di chiudere i battenti, e multe pesanti attendono i distratti che proveranno a cuocere imperterriti i loro animali allo spiedo. Inoltre, per non correre il rischio che i venti spazzino via tutti questi sforzi, il governo ha esteso le restrizioni che rallentano la vita nella capitale anche alle regioni circostanti, in un ampio arco che comprende Tianjin e la Mongolia Interna, nonché l’industriale Hubei. I camion possono entrare a Pechino solo per tre ore durante la notte e per incoraggiare i 21 milioni di abitanti della capitale a lasciare la città per qualche giorno le agenzie di viaggio sono state incentivate a fare sconti. Il meeting dei capi di Stato non è nemmeno nella capitale stessa, ma presso il lago di Yanqi, a 50 chilometri da Pechino, in una zona montuosa dall’aria decisamente più fresca rispetto a quella di città.
Il tema ambientale, del resto, era già sull’agenda dell’incontro, dato che il summit per la cooperazione economica non può ignorare uno degli effetti collaterali del rapidissimo sviluppo industriale della Cina. Il Presidente Xi Jinping, il cui titolo principale è quello di Segretario Generale del Partito, nel discorso di chiusura degli incontri preliminari, domenica mattina, ha espresso il desiderio di realizzare un «sogno per l’Asia-Pacifico», estendendo così il suo slogan preferito del «sogno cinese» (che sarebbe un sogno fatto di sviluppo e dell’intensificarsi degli scambi nella regione), al tema dell’ambiente.
Lo slogan è volutamente ambiguo: i Paesi che si danno appuntamento all’Apec sono un gruppo eterogeneo, con molte questioni spinose aperte. Molti vicini della Cina hanno dispute territoriali con il gigante asiatico, ma il vertice Apec se non altro porterà al primo incontro fra il premier giapponese Abe e il leader cinese Xi Jinping, nella speranza che questo possa portare a una distensione nelle relazioni fra Pechino e Tokyo. Inoltre, ci sarà l’incontro con Obama, che arriva in Asia con ancora in volto i lividi della batosta elettorale della settimana scorsa: proprio per questo l’amministrazione americana sembra determinata a portare a casa almeno un accordo positivo con Pechino. E in nome del «blu Apec», gli sforzi si concentrano sul tentativo di diminuire le emissioni di veleni scaricate dalla Cina nel mare, nella terra e nell’aria: gli Stati Uniti, infatti, dopo anni di brontolii, avrebbero finalmente deciso di mettere a disposizione la tecnologia americana per gli sforzi ambientali cinesi, riuscendo a convincere la Cina a sottomettersi a dei limiti sulle emissioni di carbonio. Sembra poco. Ma per Obama e per i cieli cinesi, oltre che per i polmoni del mondo intero, anche poco è meglio di niente.