Corriere della Sera, 10 novembre 2014
Lady Taliban, la diplomatica Usa tanto odiata dall’India è ora indagata dall’Fbi. Per New Delhi è lei che ha favorito l’ascesa dei talebani. Ritratto di Robin Raphael
Il soprannome, già da solo, dice molto: Lady Taliban. Sono stati gli indiani ad affibbiarlo, qualche anno fa, a Robin Raphel, ex analista della Cia, diplomatica di carriera, lobbista e poi di nuovo protagonista in mezzo a quel ginepraio che avvinghia Pakistan-Afghanistan-India. La terra del Grande Gioco descritto da Kipling. Qui Robin Raphel ha avuto un ruolo, di mediatrice o forse d’altro. È quello che vuole scoprire l’Fbi.
Il controspionaggio l’ha messa sotto inchiesta e il Dipartimento di Stato l’ha di fatto licenziata togliendole anche la «clearance», il nullaosta che l’autorizza a maneggiare documenti riservati. Quella che a Washington chiamano la «golden card». Apre files non disponibili per i comuni mortali, può portare potere e denaro. Per decenni la Raphel, 67 anni, ha potuto usarla. Ora non più, inseguita dal sospetto che possa aver collaborato con un Paese straniero.
Esemplare la carriera di questa dama di ferro, abbastanza tosta da riuscire ad emergere in una realtà competitiva. Prima dall’altra parte del Potomac, tra i ranghi della Cia, dove elaborava rapporti. Poi sulla riva opposta, tra le file dei diplomatici. Non senza traumi. Il suo primo marito dal quale aveva divorziato, l’ambasciatore Arnold Raphel, è morto nel misterioso incidente costato la vita, il 17 agosto 1988, al presidente pachistano Zia ul-Haq. Erano insieme sull’Hercules esploso in volo. Diranno che c’era una bomba a bordo o forse una sostanza tossica in una cassetta di mango. Uno dei tanti episodi oscuri di un Paese, il Pakistan, dove Raphel si è sempre trovata a suo agio.
Molto vicina ai Clinton, prima a Bill, durante la presidenza, e in seguito a Hillary, Robin Raphel è stata una fine tessitrice. Ha riavvicinato gli Usa a Islamabad, ha mantenuto stretti rapporti con il gruppo petrolifero Unocal e i suoi avversari hanno sostenuto che abbia spinto il progetto per costruire una pipeline che doveva attraversare l’Afghanistan.
È in questa cornice che potrebbe aver «benedetto», insieme ad altri, l’ascesa dei talebani. New Delhi non le ha mai perdonato la frase che è il «Kashmir è un territorio conteso», perché l’affermazione disconosce i diritti indiani. Hanno alluso a suoi passi in favore del mullah Omar in combutta con l’Isi, l’ambiguo servizio segreto pachistano. Verità e insinuazioni in una realtà dove tutto può essere letto in tanti modi.
Robin Raphel ha ricoperto incarichi importanti. Ambasciatrice in Tunisia, molte missioni nel sub continente indiano, trattative tra rivali. Poi nel 2005 è passata al privato svolgendo attività di lobby per i governi di Pakistan, Guinea Equatoriale e Kurdistan iracheno. Di nuovo soldi e contatti per una parentesi di quattro anni. Nel 2009 è ritornata al Dipartimento di Stato come assistente dell’inviato speciale per l’Afghanistan, Richard Holbrooke. Ed è rimasta ad occuparsi del desk delicato gestendo, tra le altre cose, gli aiuti non militari a Islamabad.
È durante questo periodo che probabilmente è emersa l’anomalia, una situazione tale da suscitare l’interesse dell’Fbi. Gli agenti hanno perquisito l’abitazione della diplomatica portando via scatoloni di documenti. Una voce ha aggiunto che forse la Raphel avrebbe portato fuori dell’ufficio materiale riservato.
I media indiani, non appena la notizia è trapelata sulle pagine del Washington Post, si sono scatenati ricordando tutte le azioni pro-Pakistan. Attacchi duri che fanno pensare ad una lotta sotterranea tra intelligence mentre nella regione asiatica volano i colpi.
Robin Raphel ha cercato di condizionare le scelte di Washington in un’area strategica? O c’è altro? Siamo alle supposizioni. Spetterà al controspionaggio verificare e fornire, eventuale, le prove alla magistratura.
Per ora restano la storia, le persone, le suggestioni. Dove c’è tutto e il contrario di tutto. Materiale buono per film. Anche se ci hanno già pensato. L’ultima puntata della serie «Homeland» ha raccontato del marito dell’ambasciatrice americana in Pakistan vittima di ricatto e costretto a passare informazioni top secret. Naturalmente si è trattato di una coincidenza.