il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2014
«Matteo dove sei?». Ritratto di Giacomo Di Girolamo, uno dei migliori cronisti italiani di mafia che, in radio, svela i mali del potere e della terra siciliana. Da anni dà la caccia al boss latitante Messina Denaro e ogni giorno combatte con le parole. Articolo dopo articolo
Dove sei Matteo?”. Ogni giorno, da dieci anni, la voce di Giacomo viaggia nell’etere di Marsala e Trapani. Arriva nei bar, nelle auto, nelle case, nelle gallerie bunker dei mafiosi. E arriva senz’altro fino a lui: a Matteo Messina Denaro. Lo stana, almeno quella voce, visto che nessuno ancora ci è riuscito dopo anni e anni di ricerche, di inseguimenti. Matteo, però, non è il solo destinatario dei messaggi di Giacomo Di Girolamo, uno dei migliori cronisti italiani di mafia. No, i primi destinatari forse sono i cittadini: perché si ricordino di quella presenza che strozza la Sicilia e la loro vita. Le inchieste – centinaia – di Giacomo De Girolamo da anni raccontano una grande terra, che racchiude ed esalta i segreti dello splendore e della crisi di tutta l’Italia. Nomi, dati, che fanno tremare giunte comunali, che mettono in discussione una classe politica e tutto il mondo che la sostiene. Che fanno male proprio perché ricordano la speranza. Ma anche la storia di Giacomo merita di essere raccontata. Bisogna, per una volta, andare dietro il microfono della sua radio, Rmc101, Radio Marsala Centrale. Merita conoscere chi c’è dietro le parole che ogni giorno compaiono sul sito www.tp24.it . Giacomo con il suo impegno racconta quanto sia essenziale la figura del cronista quando con il suo lavoro svela i mali del potere. Quando descrive i mali di una terra, lasciando però aperta la speranza che è nei suoi 37 anni. In quei capelli scompigliati come le mille idee cui è difficile a volte tenere dietro. “Dove sei Matteo?”, eccolo ancora una volta, come ogni giorno, come una campana che segna un tempo che sembra non passare. E invece proprio Giacomo è il testimone di una Sicilia nuova, che può farcela. A cominciare da quella asciuttezza, quel rifuggire da vittimismi e retorica, come è nel vero carattere siciliano. Perché quando gli chiedi se lui, cronista scomodo, si senta in pericolo, ti risponde: “No, non mi uccidono”, taglia corto. Aggiunge: “I rischi sono altri”. Quali? “Tempo fa mi hanno recapitato a casa una lettera con il mio estratto conto. Per farmi capire che loro possono sapere tutto della mia vita. Ma io non ho nulla da temere”. Il vero nemico di Giacomo sono le carte, le querele, le cause civili, che come una ragnatela qualcuno cerca di avvolgere intorno al suo lavoro: “A ogni articolo scomodo mi arriva a casa l’ufficiale giudiziario. Io lo so che ogni parola, ogni virgola dei miei articoli è provata. Ma puoi sempre trovare un giudice che ti condanna. E poi difendersi comunque costa, tempo, energie e soprattutto denaro”. Fa una pausa: “C’è stato addirittura un sindaco che mi ha fatto causa perché diceva che con il mio lavoro rovinavo la reputazione di Marsala, come se il male di questa terra non fosse la mafia, ma chi la racconta. Come se le mie inchieste spaventassero i turisti”. E la tentazione di smettere per Giacomo e i tanti cronisti coraggiosi in giro per l’Italia c’è. È tanto più facile evitare le rogne, sistemarsi sotto l’ala protettrice di qualche potente. Ma Di Girolamo continua. Chissà se il boss davvero lo sente o se è all’altro capo del mondo. Giacomo è convinto di no: “C’è un controllo capillare del territorio, ci sono attività che da sole valgono quanto l’intero pil della provincia di Trapani, che non potrebbero resistere se il capo fosse lontano. Deve essere qui, da qualche parte”. È il mistero della mafia: c’è, te la senti addosso sulla pelle come una patina appiccicosa, ma non la vedi. E lui, Messina Denaro, potrebbe essere vicino, accanto a te. Magari vivere ricoperto di miliardi, ma costretto a passare anni come un topo in un cunicolo sotto i tuoi piedi.
Già, Matteo, il simbolo. Ti viene quasi il dubbio che abbiano bisogno gli uni degli altri: gli investigatori e il latitante, il cronista e il suo bersaglio. Di Girolamo sa tutto del capo mafia: i parenti, le amicizie, gli appoggi politici, gli intrecci societari. Però liquida subito il pensiero, il cronista non si “affeziona” al protagonista dei suoi articoli: “La mafia oggi non è più solo Messina Denaro. Anzi, i grandi padrini contano meno. Oggi esiste una Cosa Grigia (è anche il titolo di un libro di Giacomo Di Girolamo, ndr) che finora abbiamo avuto difficoltà a capire e a raccontare. Non ha quasi più bisogno di uccidere, usa altre forme di pressione, soprattutto economica. E conta su un appoggio che nasce dai benefici diffusi che garantisce”. Ecco la mafia che non ammazza quasi più gli uomini, ma strozza la Sicilia: “Nella nostra terra non esiste l’iniziativa privata. L’economia si fonda quasi esclusivamente sui fondi pubblici. Il denaro arriva da Roma, da Palermo e gli amici degli amici si riempiono le tasche. Basta guardarsi intorno, ci sono sprechi ovunque ti giri. Con un gruppo di amici anni fa abbiamo organizzato perfino un tour nelle grandi opere incompiute. Ogni comune della Sicilia ne ha almeno una. Andate a vedere qui a Marsala i monumenti per ricordare Garibaldi, andate a vedere i porti. Qui si prendono i soldi per le vendemmie, ma anche incentivi se le vendemmie non le fai, se tagli via l’uva dalle piante. Prendi i soldi comunque”.
Giacomo scrive, scrive, scrive. Ti viene da chiedergli se non abbia la tentazione di arrendersi, o di andarsene, come fanno tanti giovani siciliani. Molti giornalisti. Ma lui resta: “Io qua sto. Sono un giornalista residente. A Marsala e Trapani ogni giorno hai una storia da prima pagina”. Eccola l’importanza dei cronisti che presidiano il territorio. Li trattiene una passione per un mestiere essenziale, ma soprattutto la passione per questa terra. Di Girolamo non lo dice, non ne ha bisogno, basta il suo lavoro per dimostrarlo. E poi è schivo, non è tipo. Anche in questo è siciliano.
Non è difficile capirlo, basta spostarsi di un paio di chilometri. Ecco le saline di Marsala che sono una tavolozza di colori per gli occhi. Poi, a nord, la riserva dello Zingaro. E all’orizzonte la visione-miraggio delle Egadi. Ma gli occhi di Giacomo vedono anche l’albergo costruito in una zona vincolata dall’amico degli amici, le costruzioni abusive che crescono ovunque. È anche questo il paesaggio siciliano, dove non c’è soltanto quello che vedi, ma anche un’ombra che si intreccia ai colori. Quella che ritrovi nelle parole di Giacomo Di Girolamo: “Qui sono davvero pochi i comuni sciolti per mafia. L’unica arma che hanno gli inquirenti per combattere la corruzione e lo sperpero immane di denaro pubblico è il reato di frode a pubbliche forniture”. Acqua fresca, intaschi decine di milioni e non fai un giorno di galera. Del resto la Legge a Marsala ha un simbolo: il nuovo Palazzo di Giustizia intitolato a Paolo Borsellino e costato 13 milioni. Ma inutilizzabile nonostante i suoi 6mila metri quadrati: colpa delle colonne in mezzo alle aule, delle finestre troppo piccole, della mancanza di vie di fuga per i detenuti. È diventato subito simbolo, ma non della Giustizia.
Sembra una battaglia senza fine, ma Giacomo ha pazienza. Combatte con le parole. Articolo dopo articolo. E poi i libri. Fino all’ultimo, “Dormono sulla collina” (Il Saggiatore). Una Spoon River dei protagonisti della vita italiana dal 1969 a oggi che meriterebbe di essere studiata anche nelle scuole. Un volume tra poesia e storia. Poche righe per ognuno, senza retorica. I buoni, i cattivi, i coraggiosi e i complici. Uno accanto all’altro a comporre la storia del nostro Paese. Come Paolo Borsellino che si rivolge all’amico Giovanni Falcone: “Chi lo poteva dire: lottare ogni giorno senza riposo, morire da eroi, diventare simboli di una ribellione. E poi riempire le pagine di Tuttocittà”. Valgono più due righe che la targa sul Palazzo di Giustizia di Marsala. Ancora vuoto.