Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri Bossi, accompagnato da Calderoli, Cota, Bricolo e Tremonti, ha incontrato Berlusconi nella Villa Campari sul lago Maggiore, una trentina di stanze comprate dal presidente del Consiglio nel settembre 2008. Il Cavaliere è arrivato all’appuntamento in elicottero.
• Risultato dell’incontro?
Lo ha spiegato Bossi ai giornalisti: niente alleanza con l’Udc e, «per ora», niente elezioni anticipate. Con i finiani che poi hanno detto: «Non possono sostituirci».
• Come mai l’alleanza con l’Udc è diventato il tema del contendere? Il problema non era Fini con i suoi seguaci?
Berlusconi ha tentato di fare accordi con Casini. Ci sono state lunghe telefonate. Ricorderà i cinque punti di cui abbiamo parlato l’altro giorno, e sui quali in settembre il presidente del Consiglio ha intenzione di chiedere il voto di fiducia: beh, nel punto «fisco» c’è anche il cosiddetto «quoziente familiare», una norma che Casini, facendosi interprete dei sentimenti della Chiesa, chiede con forza. Si tratta — alla grossa — di dividere il reddito per i componenti della famiglia, in modo che l’aliquota s’abbassi e si paghino meno tasse. Potrebbe costare fino a una dozzina di miliardi. Tremonti ha lasciato fare in nome della politica. Il presidente del Consiglio sperava e spera di sostituire i finiani, o i finiani che insistono a non rientrare nella maggioranza, con i parlamentari dell’Udc. L’Udc fa la difficile, ma quello che ha tuonato sul serio contro un’intesa di questo genere è stato proprio Bossi, che ha dato fondo a tutto il suo repertorio: Casini — ha detto — è un democristianone vecchia maniera, se lo facciamo entrare tra sei mesi ci ritroveremo punto e da capo, è addirittura meglio tenersi Fini... Chi se ne intende, spiega che il capo della Lega non vuole l’apertura di un secondo forno, cioè desidera che il Cavaliere sia costretto a comprare il pane sempre e solo da lui.
• E le elezioni anticipate?
Berlusconi, che all’inizio pareva volerle a tutti i costi, adesso sembra molto più cauto. Da una settimana, invece, Bossi dice che si deve votare entro quest’anno. Il ragionamento del capo leghista fila: se si vota subito il Carroccio rischia di prendere un 12-15% di voti, e soprattutto di fare il pieno di parlamentari al Nord. Si parla di 90-100 eletti, una forza che la Lega non ha mai avuto. Inoltre, votando subito, i finiani non avrebbero il tempo di organizzarsi e potrebbero sparire o quasi dal panorama politico. Le elezioni entro dicembre sono una iattura anche per il Partito democratico, dilaniato dalle guerre intestine tra i possibili candidati-premier e dalla mancanza di una proposta politica forte. Una proposta, voglio dire, che non sia il semplice «mettiamoci tutti insieme per far fuori (politicamente) Berlusconi».
• Se le cose stanno così, perché adesso il presidente del Consiglio non vuole andare al voto?
Ha senso anche la prudenza di Berlusconi. Prima di tutto, non è affatto sicuro che Napolitano, in caso di caduta del governo, conceda subito lo scioglimento delle Camere. Potrebbe trovare una qualche maggioranza in Parlamento, potrebbe persino sciogliere le Camere ma affidare la gestione degli ultimi due mesi a un nuovo esecutivo. C’è l’incognita di quei parlamentari (anche del Pdl) che temono di non essere più messi in lista. Inoltre non abbiamo ancora superato il limite della metà legislatura, quello che garantisce a deputati e senatori la pensione. Il Cavaliere non è sicurissimo neanche del voto: è vero che il centro-destra vincerebbe al Nord, ma al Sud potrebbero esserci parecchi problemi. Casini, Fini, Rotondi, Lombardo, Rutelli e anche il Pd cercheranno di arrotondare i magri risultati del Settentrione con qualche successo nel Mezzogiorno. I premi di maggioranza al Senato si danno regione per regione e non su base nazionale. È possibile, forse addirittura probabile, che alla fine il centro-destra non abbia la maggioranza, o abbia una maggioranza molto risicata al Senato. Infine Berlusconi vuole assolutamente che prima passi la legge sul cosiddetto «processo breve».
• Di che si tratta?
È quella legge, approvata lo scorso gennaio dal Senato, secondo cui un processo deve concludere tutto il suo iter — cioè tutti i suoi appelli fino alla sentenza definitiva — al massimo entro sei anni. La norma ha però un valore retroattivo che metterebbe al sicuro il premier dai procedimenti che lo riguardano e che hanno una certa probabilità di concludersi con una condanna (prevista per marzo). Il Cavaliere vuole riesumare la norma perché è sicuro che, il prossimo dicembre, la legge che lo tiene oggi al riparo dai giudici, quella del cosiddetto legittimo impedimento, sarà dichiarata incostituzionale. Dal suo punto di vista, far sciogliere le Camere senza essersi costruita un’altra rete di protezione potrebbe essere un guaio. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 26/8/2010]
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