Piero Bianucci, La Stampa 26/8/2010, pagina 34, 26 agosto 2010
Ciao Darwin: l’evoluzione non dipende più dalla competizione - Per Darwin gli esami non finiscono mai
Ciao Darwin: l’evoluzione non dipende più dalla competizione - Per Darwin gli esami non finiscono mai. Le 1250 copie della prima edizione dell’Origine delle specie andarono in libreria all’alba del 24 novembre 1859 e al tramonto erano esaurite. Un grande successo, ma anche immediate polemiche, obiezioni scientifiche, scontri religiosi e filosofici che continuano tuttora a distanza di un secolo e mezzo. Questa volta però l’attacco viene dall’interno: non da creazionisti ingenui o da più sottili teorici del «disegno intelligente», ma da darwinisti eretici, che relegano in secondo piano il concetto cardine dell’evoluzionismo: quello della competizione come causa prima della biodiversità e della selezione dei più adatti alla sopravvivenza. Biology Letters, bimestrale della Royal Society, ha pubblicato l’articolo di un gruppo di ricercatori dell’Università di Bristol secondo il quale a spingere avanti l’evoluzione è semplicemente lo spazio disponibile per l’espandersi delle varie specie. Competizione e selezione naturale sarebbero fattori secondari. Mike Benton, uno degli autori, porta l’esempio classico offerto dai dinosauri. L’estinzione dei grandi rettili – spiega – liberò il campo ai mammiferi, che a quel punto si differenziano in nuove specie, aumentano le loro dimensioni e si moltiplicano vertiginosamente: «Tant’è vero che oggi questi dominano la Terra». Per la verità quest’ultima affermazione è assai dubbia. Non i mammiferi, ma piuttosto gli insetti sembrano i veri padroni del pianeta. Tanto che Rita Levi Montalcini qualche tempo fa indicò negli scarafaggi la forma vivente più flessibile e dotata della massima capacità di sopravvivenza, al punto che se la caverebbe anche nell’apocalisse di una guerra atomica totale. Ma tralasciamo i discorsi laterali. La prova forte portata da Benton a sostegno della sua tesi sta nell’analisi di 840 famiglie di fossili che in epoche, ambienti e luoghi geografici diversi dimostrerebbero in modo inoppugnabile che una specie si impone e si differenzia quando le si aprono ampi spazi dove trovare cibo e riprodursi. A parte il fatto che l’argomento dei ricercatori dell’Università di Bristol è stato prontamente ritorto contro i suoi sostenitori da Stephen Stearn dell’Università di Yale («Da che cosa deriva la spinta a occupare nuove porzioni di spazio se non dalla necessità di evitare la competizione con le specie che già occupano un dato luogo?») l’articolo uscito su Biology Letters suscita parecchie perplessità. Che lo spazio sia essenziale perché una specie si affermi è ovvio. Una popolazione di batteri, per esempio, aumenta esponenzialmente su una piastra di coltura in laboratorio, ma poi si stabilizza quando l’intero territorio è colonizzato. La crescita di qualsiasi popolazione è infatti rappresentata da una curva a forma di S detta «logistica», caratterizzata da una impennata iniziale molto forte seguita da un progressivo appiattimento fino a un livello costante. Se poi si va a vedere meglio la realtà, si scopre che molte nicchie ecologiche trovano proprio nella loro ristrettezza uno stimolo alla biodiversità: spesso, infatti, le specie si evolvono e si differenziano in modo complementare, dando luogo a simbiosi più o meno evidenti. Clamoroso è il caso dell’uomo: nel nostro intestino abbiamo un numero di batteri 10 volte più grande del numero delle nostre cellule. Senza quei batteri non potremmo assimilare il cibo. C’è dunque da domandarsi se siano i batteri a dipendere da noi o noi a essere subalterni ai batteri. Ai ricercatori di Bristol si può poi far notare che per Darwin a essere centrale non è il concetto di competizione ma quello di selezione naturale, la quale non sempre dipende dalla competizione; anzi, più spesso dipende da altri fattori. È istruttivo ricordare che Darwin giunse all’idea della selezione naturale il 28 settembre 1838 leggendo il Saggio sul principio della popolazione pubblicato da Malthus nel 1798. A produrre il flash nella sua mente fu la pagina dove Malthus osserva che ogni specie produce un grande numero di cuccioli senza che per questo la popolazione cresca troppo. Ciò avviene perché della prole sopravvive solo una piccola parte, appunto quella selezionata dalle difficoltà ambientali. Di qui il meccanismo base dell’evoluzione: iperfecondità, grande numero di variazioni individuali, selezione dei più adatti (talvolta, ma non necessariamente, attraverso la competizione).