Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 26/8/2010, pagina 72, 26 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
6 maggio 1948
L’indicibile
Uno scrittore promettente ma non famoso recensisce il libro di uno scrittore totalmente ignoto. Il recensore si chiama Italo Calvino e parla di un libro pubblicato da un piccolo editore torinese, De Silva, che ne ha stampate 2500 copie e ne venderà meno di 2000. Si tratta di «Se questo è un uomo» di Primo Levi, scampato al campo di sterminio di Auschwitz, dove è rimasto prigioniero per un anno, fino all’arrivo dei russi nel 1945. Tornato avventurosamente in patria, Levi si rende conto che ciò che ha visto e sofferto nel lager non è dicibile, non è raccontabile. E tuttavia capisce che è suo dovere tentare di dare la sua testimonianza su quell’orrore inaudito. Ma non è solo una testimonianza, scrive Calvino, «ha delle pagine di autentica potenza narrativa che rimarranno nella nostra memoria tra le più belle della letteratura sulla Seconda Guerra Mondiale». Lo stile sobrio, si potrebbe dire constatativo, fa emergere senza doverle commentare, le nefandezze perpetrate sugli ebrei prigionieri. Non c’è retorica, non ci sono invettive, in un certo senso non ci sono neppure i tedeschi e non manca, in questo distacco, una vena di ironia cui Levi resterà fedele anche nei libri successivi. Tuttavia bisognerà attendere il 1956 perché «Se questo è un uomo» cominci il suo grande volo per il mondo. Intanto sulla scena letteraria appare un altro testimone, stavolta della guerra guerreggiata. È Mario Rigoni Stern che pubblica il suo umile e memorabile resoconto della ritirata di Russia, «Il sergente nella neve». La terribile marcia nella steppa russa dove chi cade non si rialzerà più, dove gli alpini sono continuamente accerchiati e continuamente devono battersi, è un’altra pagina altissima venuta dalla guerra. Ma c’è un terzo testimone, Beppe Fenoglio, che racconta la guerra partigiana nelle Langhe e lo fa scegliendo i toni e il linguaggio dell’epica. Fughe, agguati, pioggia, tradimenti, rastrellamenti e quelle vaste cascine sui crinali, tra le vigne, scorrono con fulminanti coloriture. Smembrata da vari editori, l’epopea del «Partigiano Johnny» si trova oggi riunita in un volume einaudiano a cura di Dante Isella, che ha ricostruito tutto l’arco dell’avventura.
Tre testimoni così diversi bastano a fare una scuola? Critici e giornalisti sono sempre a caccia di etichette e questi tre libri, insieme a pochi altri, tra cui il trascurato gioiello di Calvino «L’entrata in guerra», dovrebbero dar corpo a una sorta di «movimento» sbrigativamente chiamato neorealismo. Se vale nel cinema perché non in letteratura? Ma l’enfasi nominalistica brilla per breve tempo e poi si spegne. Tre grandi libri restano con noi.