Simone Pieranni, il manifesto 26/8/2010, 26 agosto 2010
Un chilometro all’ora da 11 giorni, per completare circa 100 chilometri di coda. Alla fine anche i camionisti cinesi che sventolano patriotticamente sui loro specchietti le bandiere rosse della Cina, hanno mollato e si sono lasciati scappare qualcosa con alcuni media: la causa dell’ingorgo, dicono, va cercata nel trasporto illegale di carbone dalla Mongolia Interna
Un chilometro all’ora da 11 giorni, per completare circa 100 chilometri di coda. Alla fine anche i camionisti cinesi che sventolano patriotticamente sui loro specchietti le bandiere rosse della Cina, hanno mollato e si sono lasciati scappare qualcosa con alcuni media: la causa dell’ingorgo, dicono, va cercata nel trasporto illegale di carbone dalla Mongolia Interna. Non sono bastati i tornei di carte organizzati ai margini dell’ingorgo, sicuramente non hanno giovato i prezzi esosi stabiliti dagli abitanti dei dintorni per consentire ai camionisti in coda di mangiare e abbeverarsi. Alla fine qualcuno ha detto la sua, su quell’interminabile trasporto di carbone, forse stanco di aspettare, di camminare ai bordi della strada, dormire sui camion, non vedere altre persone che non propri simili nella stessa situazione. C’è tutta la Cina contemporanea nel serpentone di oltre 100 chilometri, che dal 14 agosto blocca migliaia di auto e camion sulla strada che da Pechino porta fino al Tibet, una delle arterie principali dell’impianto stradale del paese. Alcuni media di informazione locale sostenevano che in qualche giorno la situazione dovrebbe ritornare alla normalità, contrariamente a quanto affermato da alcuni quotidiani occidentali che hanno paventato una soluzione solo ai primi di ottobre. Molti pechinesi avranno sorriso guardando le immagini in televisione: per quanto le proporzioni siano apocalittiche, non sono certo fotogrammi distanti dalla quotidianità del traffico in una città cinese, specie la capitale. Il paese recentemente diventato la seconda economia del mondo si trova così negli annali dei record stranieri, sintetizzando tutte le proprie contraddizioni in una fila interminabile di camion. Innanzitutto i numeri, al solito immensi, il mondo fatto di bancarelle creatosi intorno al maxi ingorgo, con esso la praticità tutta cinese di arrangiarsi - sono state create anche attività ricreative come tornei di carte e c’è da giurarci di majhong - nonché l’attaccamente al denaro, con relativa speculazione sui prezzi dei beni di prima necessità, in alcuni casi triplicati, con conseguenti proteste da parte dei novelli clienti. Un lunch box, una scatola con riso, qualche verdura e carne o pesce, viene venduto a 10 yuan, poco più di un euro, quando solitamente si può acquistare per 2 o 3 yuan. Anche l’acqua ha avuto un aumento vertiginoso. Non solo, perché se lo sviluppo cinese, nonostante il traffico, garantisce panorami splendenti nelle grandi città, vive ancora di infrastrutture deficitarie in molte zone del paese, in cui i collegamenti principali avvengono spesso su strade piccole e poco attrezzate a ricevere l’ingente quantità di auto che aumenta ogni giorno. Per non parlare dei trasporti su camion. Naturalmente nell’ingorgo vicino a Pechino, c’è anche un inghippo. I media cinesi infatti hanno minimizzato l’evento, senza soffermarsi troppo sulla coda chilometrica. Il tragico incidente aereo avvenuto nella notte di martedì (un Embraer 190 di fabbricazione brasiliana, della Heinan Airlines, è uscito dalla pista dopo essere atterrato in un aeroporto nel nordest del paese provocando la morte di 42 persone e giallo conseguente, perché come hanno rilevato alcune riviste locali l’aeroporto non sarebbe stato attrezzato per atterraggi notturni) ha fornito un elemento di distrazione interna con tanto di presidente Hu Jintao e premier Wen Jiabao in emergenza per le vittime e i soccorsi. Ed è venuto fuori il motivo che sarebbe davvero la cause della coda: il commercio illegale di carbone. La Cina si affida ancora al carbone per il 70% del suo fabbisogno energetico. Prima le miniere erano per lo più nello Shanxi, ma le morti, le inondazioni, i disastri hanno portato il governo a chiudere nel giro di due anni il grosso delle miniere, finendo per fare diventare la Mongolia Interna, a nord della capitale, il principale canale di raccolta del carbone. E la strada che ha creato la coda di 100 chilometri è proprio la National Expressway 110, nome altisonante per un’autostrada normale, a doppia corsia, secondo i canoni europei. E’ su quella strada che si ammassano i camion che trasportano carbone in modo illegale, perché ci sono meno controlli e meno poliziotti zelanti da corrompere, come ha scritto il Christian Science Monitor: chiudendo quella strada per provvedere a lavori, si è praticamente piantato il percorso alternativo, utilizzato anche da un traffico giornaliero piuttosto sostenuto. Nel futuro in tema di estrazione di carbone, dovrebbe essere usata maggiormente la zona a ovest del paese, la regione autonoma del Xinjiang. Il che potrebbe creare situazioni di traffico ancora peggiori di quella appena vissuta. A meno che il supertreno che dovrebbe essere sperimentato da dicembre a Pechino, quello sotto al quale passano le macchine, non diventi il principale mezzo di trasporto cinese. Anche se per ora percorrerà solo sei miseri chilometri.