Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 26 Giovedì calendario

TRA I BIMBI DI KATRINA CHE NON CRESCONO PIÙ

Shhhh... Fate piano o sveglierete i bambini. «Quelli più grandi sognano ancora il diluvio» sussurra Keashen Maggie Johnson muovendosi nella penombra del Kiddie Kids Daycare: nella penombra dell´arca di New Orleans.
Il giorno in cui l´acqua inghiottì tutto - era l´alba del 29 agosto 2005 - il Lower Ninth Ward fu il primo quartiere ad andare a fondo. Dove oggi c´è la scuola per bambini c´era la vecchia fabbrica di medicinali di Saint Claude Avenue, il lungo stradone che dal French Quarter assediato dai turisti porta nel cuore della città più vera: quella dei neri, che gli spagnoli e i francesi e gli inglesi non riuscirono a conquistare mai. Anche la fabbrica fu naturalmente inghiottita. Come l´80 per cento della città meno americana d´America - e forse proprio per questo occupata dai marines mandati da George W. Bush al posto dei soccorritori.
Cinque anni dopo, i professori della Columbia University giurano che i bambini di New Orleans sono cinque volte più disturbati degli altri. Uno su tre ha almeno un anno di ritardo a scuola. Immaginate più di 160mila bambini senza casa. Immaginate sopravvivere a una tragedia da 1.600 morti e un milione e mezzo di sfollati.
Dolore dolore e dolore. Ma cinque anni dopo il popolo di New Orleans è stanco di farsi piangere addosso. Questa è la terra del jazz: da Louis Armstrong alla famiglia Marsalis che sverna ancora allo Snug Harbour. Questa è la terra dei funerali che finiscono in festa come quello che mercoledì sera Charmaine Neville ha fatto sfilare per celebrare Katrina tra Camp e Common Street: tra gli albergoni che si sono mangiati quella Canal Street che fino agli anni Cinquanta Jack Robinson immortalò in bianco e nero. Ricordate l´insegna art déco dell´Imperial Shoes? Inghiottita dai Marriott e gli Sheraton e gli Hilton che negli anni del boom si arrampicavano su se stessi: le torri di Babele da cui sciamavano i peccatori verso le porte del vizio di Bourbon Street. Intanto gli argini sprofondavano sotto il livello d´allarme.
Ma a chi importava? Non era servita la lezione di Betsy. 1965: cento morti, un miliardo di danni. E la solita inchiesta parlamentare. Onorevole F. Edward Hébert: «Mettiamo il caso ci fosse un altro uragano domani o la prossima settimana o l´anno prossimo: gli argini di 16 piedi reggeranno?». Colonnello Thomas J. Bowen, Genio dell´Esercito: «Assolutamente sì». Sedici piedi: meno di cinque metri! Ieri il colonnello Robert Sinkler ha annunciato il nuovo sistema a prova di ogni disastro. Il muro sul lago Borgne - che col lago Pontchartrain e il Delta del Mississippi costeggia New Orleans - è alto 26 piedi: otto metri. La fortificazione più imponente di questo gigantesco anello di 350 chilometri.
Argini e dighe sono costati 15 miliardi. Ariana Tiper sfodera orgogliosa le cifre della ricostruzione mostrando a dito la città che sarà. Qui sorgerà il Lousiana State Hospital da 800 milioni di dollari, che porterà seimila posti di lavoro. Qui il Cancer Research Center da 10 piani e 94 milioni. Ariana aveva lasciato il suo paesino nell´Alabama per venire a studiare architettura a New Orleans otto anni fa: «Dopo Katrina come fai a tornare? Ora è questa la mia casa».
Bionda, occhi azzurri: un marziano nella città più africana d´America. Ma il diluvio qui ha annacquato anche il sangue. New Orleans ha perso il 7,9 per cento dei suoi un milione e 200mila abitanti. I neri erano il 66,7 per cento e oggi sono il 61,3. I bianchi erano il 26,6 per cento e oggi sono il 29,9. E gli altri, cioè soprattutto gli ispanici, sono saliti da 6,7 a 8,9. Nella solita guerra tra poveri i black li accusano di rubare il lavoro: perfino l´ex sindaco nero Ray Nagin reclama la «Chocolate City» di un tempo.
Il nuovo sindaco Mitch Landrieu - figlio dello storico sindaco bianco Moon, fratello della potente senatrice Mary Landrieu -lancia i suoi «cento progetti» sprizzando ottimismo, sbandierando le magnifiche sorti e progressive di questa città che «è riuscita a rafforzarsi malgrado tre crisi in cinque anni: Katrina, la recessione, la macchia nera del Golfo». Davvero? Sì, il reddito medio è balzato da 27mila a 31mila dollari. Ma quel 16 per cento in più è drogato: la media è salita da quando mancano all´appello i 125mila poveracci (e neri) che non sono mai più tornati.
Nel Lower Ninth Ward riemerso dalle acque sono rientrate soltanto tre famiglie su 10. E senza la carità di Brad Pitt che qui ha già ricostruito una cinquantina di case - la suo ong si chiama Make It Right - poco avrebbe potuto fare anche la buona volontà del Nora, per cui lavora Ariana. L´ente comunale ha già acquistato mille proprietà che lentamente sta riconvertendo con l´aiuto di charity e non profit.
Perché è così che si alimenta la seconda vita di New Orleans: Katrina ha scoperchiato anche la solidarietà. Gruppi di cittadini auto-organizzati che si chiamano Women of the Storm (Donne della Tempesta) o Greater New Orleans Foundation. I gruppi che si sono opposti ai piani di ristrutturazione selvaggia. Come i ribelli guidati da Latoya Cantrell: la sua Broadmoor oggi è l´associazione di base più studiata d´America.
Ma anche la testardaggine di povera gente come Wilma Collins: un´anziana nera che ha detto no perfino a Brad Pitt. «Perché ha affidato la ricostruzione a quegli architetti matti?». Le case del divo sono griffate da quelle firme che hanno realizzato dei gioielli di ecosostenibilità dando libero sfogo all´estro architettonico. Wilma invece s´è indebitata per ricostruire la sua casa «com´era e dov´era» e adesso mostra con orgoglio la sua foto finita su People accanto a quella di Sandra Bullock.
Durerà? Monica Pierre era una star della tv locale e oggi ce l´ha con i professionisti del pessimismo. Anche Spike Lee nell´ultimo film continua a insistere sulle vergogne di New Orleans: «Ma vogliamo parlare di tutto quello di buono che abbiamo già realizzato?». E non soltanto del Super Bowl vinto dai Saints che a 5 anni da Katrina hanno alluvionato di gioia quel Superdome che per tanti resta il simbolo del diluvio: ventimila intrappolati. James Carville, l´ex stratega di Bill Clinton e oggi volto di Cnn, frena: «Diciamo che la nuova New Orleans è migliore di quella di subito dopo Katrina...». Ma la ricostruzione non è un modello da esportare? Pubblico e privato, ong e Hollywood, l´armistizio tra destra e sinistra. «Non esageriamo. Qui al Sud siamo un po´ come voi italiani: mare, sole, buon cibo. Ma c´è ancora tanto da fare».
Francesco Simeone ricorda quando l´acqua si stava ingoiando il Pronto soccorso del Charity Hospital. Il professore venuto dall´Italia è uno degli eroi di New Orleans: una settimana assediato in ospedale aspettando i soccorsi che non venivano mai, la moglie e le bimbe sfollate in Texas. «Il cibo finito, le barche per le strade inondate che continuavano a scaricarci malati e disperati». Oggi dice che alla Tulane University - dove guida la scuola di rianimazione - si ricomincia ad assumere.
Forse il miracolo di New Orleans si chiama soltanto New Orleans. Solo qui poteva funzionare quella che Richard Brown chiama «equity sweat» giocando tra i contratti di borsa (gli equity swap) e la parola sweat: sudore. «Noi costruiamo le case e le regaliamo. In cambio di 150 ore di sudore: 150 ore di lavoro comunitario». Richard è un manager della Gm in pensione venuto da Detroit a guidare i Samaritan´s Purse del figlio di Bill Graham - la guida spirituale di 11 presidenti Usa. E con i suoi equity sweat a New Orleans sono risorte altre 50 case: come quella di Arnold e Annie Montana, che per 5 anni avevano vissuto in un tugurio senza il tetto e oggi hanno una villettina che sembra il simbolo dell´american way of life.
Sì, il miracolo di New Orleans si chiama soltanto New Orleans. Anche la scuola che ora sorge nella vecchia vecchia fabbrica di medicinali distrutta nel Lower Ninth Ward è nata dal cuore infinito di una donna qualunque. Sheryl Maggie Johnson per anni aveva ospitato a casa sua i bambini di quel quartiere disgraziato. E quando, dopo il diluvio, la fabbrica fu abbandonata, Sheryl sognò di ricostruire lì la sua scuola di quartiere. Oggi questa straordinaria maestra di strada non c´è più ma la figlia Keashen - che intanto ha preso la laurea magistrale - ha raccolto l´eredità: quell´arca-bunker nel quartiere che resta tra i più malfamati di New Orleans. Perché con la ricostruzione è tornato anche il crimine, dice, mostrando le 9 telecamere che proteggono il suo castello di sogni. Paura? «Tanta. Ma vuoi mettere la gioia di proteggere questi angioletti?». Ecco, questa è Dameien, Dameien Smith, 5 anni compiuti proprio ieri. Dameien che nacque il 26 agosto 2005. Dopo di lei, il diluvio.