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 2010  agosto 26 Giovedì calendario

Scalfari confessa: quant’è bello scrivere per il Cav - In un’estate funestata da insoste­nibili drammi politici, per fortu­na grazie a un teologo in crisi fi­scale, un manipolo di intellettua­li editorialmente ambigui e un pa­dre fondatore del­la Repubblica noto per i suoi editoriali ad personam , la cronaca offre l’oc­casione di sorride­re di fronte all’en­nesima farsa etico­libraria andata in scena questa settimana su tutti i quotidiani

Scalfari confessa: quant’è bello scrivere per il Cav - In un’estate funestata da insoste­nibili drammi politici, per fortu­na grazie a un teologo in crisi fi­scale, un manipolo di intellettua­li editorialmente ambigui e un pa­dre fondatore del­la Repubblica noto per i suoi editoriali ad personam , la cronaca offre l’oc­casione di sorride­re di fronte all’en­nesima farsa etico­libraria andata in scena questa settimana su tutti i quotidiani. S’intitola «La coscienza di Vito», l’ha scritta uno che, proclaman­dosi eretico, si crede un santo, racconta il solito dilemma dello scrittore di sini­stra afflitto dai tormenti derivati­gli dal pubblicare per un editore di destra,e si conclude,grazie al­l’intervento di un deus ex machi­n a dalla barba bianca, con lo scontato happy end che ricom­pone ogni equivoco mantenen­do per altro intatto il dubbio. E lasciando le cose esattamente com’erano quando la storia ini­ziò. E pubblicarono tutti felici e contenti. Da quasi vent’anni, da quan­do il Cavaliere è entrato in poli­tica, l’ intellighenzia italiana ci spacca i caratteri tipografici con la domanda (pelosa e ipo­crita) se uno scrittore antiber­lusconiano possa o no pubbli­care per le case editrici del pre­mier. E, curiosamente, ogni volta che la domanda si ripro­pone, il catalogo Einaudi-Mon­dadori si arricchisce di nuovi nomi di romanzieri, professori e parlamentari di sinistra. A di­mostrazione che le leggi del mercato valgono più di quelle della politica. La penultima anima bella colta dal dubbio morale, im­mediatamente spazzato via dalla certezza economica, un paio di mesi fa, è stato Roberto Saviano, che si è spinto fino al­l’intimidazione « gomorristi­ca » nei confronti della proprie­tà: se critichi ancora i miei li­bri, ma ne vado (e intanto è an­cora lì). L’ultima, qualche gior­no fa, Vito Mancuso, fulmina­to sulla via di Segrate dalla co­siddetta legge ad aziendam che consentirebbe alla Monda­dori berlusconiana di risolve­re con due soldi un vecchio contenzioso col fisco. La cosa è eticamente riprovevole - si è lamentato Mancuso su Repub­blica - e io che ho fatto dell’eti­ca il faro della mia vita, come posso rimanere indifferente? Lo ha chiesto anche a tutti gli altri suoi co-autori del gruppo Einaudi-Mondadori (che dal­la A di Augias alla Z di Zagrebel­sky conta qualche centinaia di grandi, piccoli, medi e medio­cri intellettuali e politici di sini­stra) e per tutta risposta si è sentito rivolgere una gigante­sca pernacchia, modulata su una ridottissima varietà di to­ni che vanno dal falsetto («qui mi sento libero e alla proprietà non ci bado»: Nicola Tranfa­glia, un saggio Einaudi in libre­ria) al tonitruante («io a Segra­te sto benissimo»: Piergiorgio Odifreddi, una carriera festiva­liera all’ombra della Mondado­ri). Poi si è esibito il capocomi­co della compagnia, Corrado Augias: «I miei libri sono di­scussi e creati in uno stretto rapporto con i dirigenti edito­riali, per me la Mondadori è perfetta. Andarsene e ricostrui­re con un altro editore un rap­porto professionale e affettivo come quello che ho adesso non è facile» (bravo: ma se in­vece che per un colosso che ti dà 20mila euro di anticipo e porta il tuo libro in tutti gli auto­grill, lavorassi con gli stessi edi­tor ma per le edizioni Tirem­minnanz di Parabiago, diresti la stessa cosa?). Poi, come se la trama della storia non fosse comica a suffi­cienza, lo stesso Mancuso, due giorni fa, ha confessato al Gior­n ale che «comunque per il mio prossimo libro ho già firmato il contratto con Mondadori, e quindi per ora rimango» (in ter­mini teologici si dice aposta­sia: prima faccio una professio­ne di fede nella Sinistra pura e immacolata, poi la tradisco preferendo quel diavolo di un Cavaliere). E infine, ieri, arriva la bolla papale emanata su Re­pubblica da Eugenio Scalfari, che con un pezzo tanto virtuo­so quanto paraculo dal titolo «Gli scrittori, i libri e il conflitto d’interesse» assolve tutti, au­toassolvendosi, dichiarando solennemente (citiamo alla let­tera): «Alla Einaudi mi trovo benissimo e ci resto». E per di più senza vergogna di specifi­care un’ovvietà - editoriale, più che morale - ossia che: «Se il gruppo editoriale che guida Einaudi cambiasse o se i suoi dirigenti si piegassero a richie­ste politicamente scorrette o per me incompatibili, non esi­terei un istante ad andarmene [...]. L’importante è che le idee possano circolare liberamen­te senza condizionamenti o ri­catti ». Tagliando, così, il nodo della questione teologica, e di­mostrando esplicitamente che Silvio Berlusconi - che di quel gruppo editoriale è a capo - almeno finora si è dimostrato un sincero democratico. La farsa è finita. Rimangono i pagliacci a raccogliere gli ap­plausi del pubblico ammae­strato. Pietro Citati, Luciano Violante, Federico Rampini, Massimo D’Alema, Rossana Rossanda, Alberto Asor Rosa, Roberto Saviano e compagnia cantante. Tutti a sputare sui giornali e in tv il peggio dell’an­tiberlusconismo, tutti a indi­gnarsi per la «legge bavaglio» che soffoca la libertà di espres­sione, tutti a denunciare un re­gime para-fascista. Per poi di­re che a Segrate però si trova­no bene, che nessuno mi ha mai toccato una virgola, che la libertà è assoluta, che il rap­porto di fiducia con gli editor e i manager è ormai inscindibi­le, che Berlusco­ni è impresenta­bile e dalle sue aziende emana «un fetore schifo­so di denaro », pe­rò, sapete, io or­mai devo conse­gnare un volu­me s­u Shakespe­are per i Meridia­ni, e insomma, l’ho promesso a Renata Colorni, che sì, lavora in Mondadori, ma non c’entra con Berlusconi, e che sì, pren­derò un sacco di soldi che arri­vano dal Cavaliere e quindi emaneranno anche quelli un fetore schifoso di denaro, pe­rò insomma... è un’altra co­sa... e se lo dice Nadia Fusini che scrive su Repubblica e quindi sta sempre dalla parte giusta, c’è da crederle. Si chiamano cafoni. Quelli che, invitati a una festa, per tutta la sera parlano male sot­tovoce del padrone di casa, dandogli del ladro. E che poi, quando lo vedono, esclama­no: «Ma come si sta bene qui!». E in più mangiano a sba­fo. Più che degli intellettuali, siete dei refusi.