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 2010  agosto 26 Giovedì calendario

LA VOLTA DI BRUNETTA: NIENTE CARRIERA PER GLI STATALI CHE FANNO I SINDACALISTI

Signori, a voi la scelta: carriera o sindacato? La circolare 11/2010 emessa lo scorso 6 agosto dal ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta impone una nuova limitazione ai dipendenti che vogliano far carriera nelle fila dello Stato. Interpretando la legge 150/2009, la celebre e incompiuta riforma Brunetta, il ministro ha precisato che – secondo la norma scritta da se medesimo – chi ricopre un ruolo dirigenziale nel sindacato o in un partito politico non può essere promosso al vertice di una struttura destinata alla gestione del personale se non due anni dopo la decadenza dal ruolo di rappresentanza. Insomma, se sei un sindacalista e aspiri ai piani alti, devi rinunciare all’incarico e aspettare 24 mesi prima di accettare la promozione. Per chi imbroglia sono previste sanzioni severissime, fino al licenziamento in tronco.
“Una norma folle, soggetta peraltro alle interpretazioni più varie – attacca Rossana Dettori, segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil – basti pensare che chiunque abbia un incarico sindacale diventa automaticamente un dirigente, praticamente tutti, tranne i semplici tesserati”. Quindi, dice la sindacalista, impegnarsi nella difesa del lavoro diventa una scelta definitiva, “perché il limite dei due anni è chiaramente una trappola. Come si fa, ci si impegna col timer? Quando a un certo punto decide che è ora di far carriera butta tutta l’esperienza? Questa iniziativa è solo un altro modo di logorare il sindacato dall’interno, trasformando i diritti in una materia estranea alla contrattazione. Decide il governo per tutti e basta. A onor del vero, era nel programma elettorale comprimere gli spazi dei lavoratori, e ci stanno riuscendo bene direi”.
Le tentazioni
dell’iscritto
IL MINISTRO Brunetta replica però che il punto è un altro: “Il futuro dirigente può esser iscritto a un partito o a un sindacato ma non deve aver ricoperto negli ultimi due anni un qualche incarico perché non sorga il cattivo pensiero che si strumentalizzi una delle due cariche per ottenere dei vantaggi dall’altra”. Il cattivo pensiero è dunque che chi fa attività di rappresentanza sociale abbia un secondo fine: gestire – scorrettamente – il potere. Maurizio Cozza, sindacalista Cgil per la categoria medica, si ribella: “E’ ovvio che quando un dirigente sindacale assume un incarico importante nella gerarchia di un ente è corretto abbandonare la carica.Staall’eticaeall’intelligenza delle persone, secondo una tradizione fin qui solida. Ma adesso il problema è diverso, perché di fatto si impedisce di esprimere un diritto forte dei lavoratori,cioèlaliberarappresentanza, in nome di un presunto conflitto d’interessi. E’ quantomeno bizzarro che proprio questo governo, con il ruolo di Berlusconi ormai premier, ministro dell’industria, capo di partito e proprietario di mille attività strutturali per il Paese, si ponga il problema di verificare la correttezza del singolo delegato sindacale nell’ipotesi in cui dovesse salire nella scala organizzativa. E poi, scusate tanto, ma perché la Polverini ha potuto diventare governatrice del Lazio per il Pdl direttamente dalla sua funzione di alto dirigente sindaca-le? Per lei la pausa dei due anni non era necessaria?”.
La reazione
dei sindacati
IL SEGRETARIO confedera-le della Cisl, Gianni Baratta, ha fatto notare come la circolare presenti perfino un profilo di incostituzionalità nel momento in cui discrimina alcuni lavoratori, ovvero quelli che accettano ruoli nel sindacato o nel partito. “I dubbi sulla legittimità sono più che leciti – spiega Rosanna Dettori della Cgil – infatti ci stiamo attivando per impugnare questo provvedimento assolutamente ingiusto. E anche ridicolo. I colleghi che si occupano di dirigenti, per esempio, che dovranno fare? Se un manager decide di darsi anche al sindacato, o alla politica,dovràdimettersiperpoter rappresentare i suoi (ex) compagni di lavoro?”. Oggi c’è l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne che si rifiuta di dar seguito a una sentenza dei giudici e un ministro della funzione pubblica che non ci consente di eleggere le rappresentanze sindacali di base, pur essendo un diritto previsto dalla legge. Qui si sta mettendo mano al sistema senza nemmeno passare dal Parlamento”.