Ferruccio Pinotti, Corriere della Sera 26/08/2010, 26 agosto 2010
SIMONETTA, APPALTI E 007. L’ULTIMA PISTA DI VIA POMA
Affiora tra le carte di una vecchia inchiesta, l a «Cheque to Cheque» del 1996, una pista inesplorata che potrebbe imprimere una svolta improvvisa al processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni in cui è imputato l’ex fidanzato Raniero Busco. In queste carte, che finora non sono state prese in considerazione dai magistrati in quanto sepolte insieme a un’inchiesta di 14 anni fa che non ha alcuna attinenza, c’è un’ipotesi sconvolgente. Ovvero che il delitto sia maturato nell’ambiente di lavoro in cui operava Simonetta: una possibilità che i magistrati stanno comunque vagliando e che ha preso corpo dopo il suicidio di Pietrino Vanacore e i rinvii per malattia della deposizione del datore di lavoro, Salvatore Volponi. A raccontare cose sconvolgenti sulla fine di Simonetta è una strana figura, Luciano Porcari, classe 1940, originario di Orvieto, un uomo di confine tra criminalità e Servizi. Porcari, tra il luglio e il dicembre 1996 — nel carcere di Secondigliano (Napoli) prima e poi in quello di Viterbo — rendeva delle dichiarazioni verbalizzate al comandante della stazione dei carabinieri di Vico Equense, il maresciallo capo Vincenzo Vacchiano, che all’epoca indagava nell’ambito dell’operazione «Cheque to Cheque», condotta nel 1996 dai pm della Procura di Torre Annunziata Paolo Fortuna e Giancarlo Novelli. Un’inchiesta che ha portato alla luce molti scottanti capitoli di storia italiana recente: dal traffico d’armi alle tangenti sulla cooperazione in Africa. Luciano Porcari articola il suo lungo racconto in quattro deposizioni: 29 luglio, 28 ottobre, 8 novembre, 4 dicembre 1996.
In esse Porcari racconta di aver lavorato all’estero, in particolare nell’Africa francofona; un ambito nel quale entra in contatto con il «giro» degli appalti legati alla cooperazione italiana e delle tangenti che si muovono tra i vertici dei Paesi riceventi e dei Paesi donatori. Ambiti nei quali si trovano spregiudicati affaristi, esponenti dei servizi segreti e delle forze militari, politici con propensioni «mediterranee».
Porcari, nelle sue deposizioni, racconta di essere venuto a contatto, in questo contesto, con ambienti dei Servizi. Il comandante dei carabinieri di Vico Equense, Vicenzo Vacchiano, scrive (Informativa di reato, operazione «Cheque to cheque», pp. 226-235): «Operando in attività illecite in Sud Africa, il Porcari conobbe quello che si presentava come il responsabile di una compagnia di import-export interessata ai traffici gestiti dal Porcari; tale personaggio asserì di chiamarsi Fabio Marcelli. In seguito poté identificarlo nel colonnello (dei Servizi segreti) Mario Ferraro».
Si tratta del colonnello del Sismi trovato morto il 16 luglio 1995 nel bagno della sua abitazione al quartiere Torino, a Roma. Ferraro venne trovato impiccato ad un portasciugamani del bagno. Si è parlato di un omicidio mascherato, dovuto alle indagini che il colonnello Ferraro stava compiendo sulle vicende della mala cooperazione. I dettagli che Porcari riporta indicano, secondo il maresciallo dei carabinieri, che il detenuto è attendibile. «Porcari asserisce che il nome operativo del colonnello Ferraro era appunto Fabio Marcelli. Questo particolare, coperto dal segreto, non è mai stato rivelato dalla stampa né mai è stato riportato in altre dichiarazioni giudiziarie. Questa circostanza costituisce indubbiamente un oggettivo riscontro».
Ma di riscontri ce ne sono altri. Porcari parla di una società (in cui egli stesso dice di aver operato) attiva agli ambienti della cooperazione con l’Africa del Nord, ma operante come «facciata» anche per conto dei Servizi segreti italiani. «Quando svolgevo l’attività di broker, ho lavorato anche per conto della società Dolmen, con sede in Roma al largo Argentina. I responsabili li conobbi in Liberia nel dicembre 1990».
Abbiamo compiuto delle verifiche nei registri storici della Camera di Commercio di Roma e scoperto che in effetti a pochi metri da largo Argentina, in largo Arenula 11 (uno spiazzo collegato a Largo Argentina) aveva sede La Dolmen International srl, una società dalla ragione sociale oscura, dedita a scambi con l’Africa, i paesi dell’Est e il Sudamerica. Nella contigua via Arenula ha sede pure il ministero dell’Interno, da cui dipendeva il Sisde. Porcari nelle deposizioni parla di maxi-tangenti sugli aiuti umanitari, di corruzioni, di strani traffici. E poi rivela un inquietante collegamento, quello con Simonetta Cesaroni.
Secondo Porcari, la Dolmen aveva una «società gemella, in via Poma», nella quale afferma di aver lavorato. Nella deposizione rese ai carabinieri il 28 ottobre ’96, Porcari racconta: «Fatti questi due viaggi dai quali guadagnai circa 80 milioni, dissi che non avrei voluto più farne perché era mio desiderio stare vicino ai miei figli. Con quei soldi misi su un’azienda di oggettistica con 13 dipendenti. Il lavoro andava bene nei primi tempi, poi sorsero delle difficoltà, tanto che dopo circa due anni chiusi l’attività e ricominciai a viaggiare per conto di una società di Roma sita in via Poma».
Porcari rivela che nella società di via Poma lavorava un’impiegata, Simonetta Cesaroni. Nel verbale del 4 dicembre 1996 racconta: «La povera Simonetta Cesaroni era la ragazza incaricata di stipulare i contratti per conto di queste società (legate ai contratti della cooperazione allo sviluppo, ndr) al di fuori del suo lavoro normale e quindi inevitabilmente era a conoscenza di queste operazioni illecite che, come io le ho detto, ho concluso per conto di queste società. Debbo precisarle che ho conosciuto gli uffici di via Poma nel 1991, al ritorno dalla Liberia. Come vede, tutte le persone che hanno avuto conoscenza delle attività di queste società sono state uccise». Una pista inquietante, che compete alla Procura vagliare.
Ferruccio Pinotti