Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Elezioni, si comincia con gli italiani residenti all’estero
Fra tre giorni finalmente si vota. Domani è l’ultimo giorno di campagna elettorale. Intanto alle 16 di oggi scade il termine ultimo per il voto dei 4,3 milioni di italiani residenti all’estero. Costoro eleggono 12 deputati e 6 senatori. Le buste con le schede elettorali che arriveranno agli uffici consolari dopo le quattro del pomeriggio saranno incenerite. Le altre verranno inviate a Castelnuovo di Porto con spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica. Lo spoglio comincerà, come per il resto d’Italia, alle ore 23 di domenica prossima, 4 marzo.
• Sa che fatico a ricordare una campagna elettorale più triste di questa?
Oltre alle pochezza dei contenuti, più materialmente è stata una campagna elettorale senza le facce dei candidati e i simboli dei partiti per le strade. In tutta Milano nel 2013 gli spazi per i cartelloni elettorali erano 1.500, quest’anno sono stati poco più di un terzo: 510, e molti sono rimasti vuoti. Stessa cosa a Roma, passata da 1.400 a 666 postazioni per i manifesti. Per risparmiare, i partiti, già con le casse mezze vuote, si sono spostati sul web, con spot online che non costano nulla e raggiungono un bacino potenziale di milioni di utenti. Sono mancati anche i duelli in televisione. I leader hanno rifiutato di confrontarsi faccia a faccia.
• Ultimi botti prima del silenzio elettorale?
Poca roba. Si conferma la tendenza nel centrosinistra a prendere le distanza da Renzi per puntare sul più rassicurante Gentiloni. Dopo Prodi, Napolitano e Veltroni, ieri è stato il turno di Enrico Letta. «Il voto del 4 marzo? Se penso a Italia ed Europa voglio augurarmi che Paolo Gentiloni ne esca rafforzato con la coalizione che lo sostiene», ha scritto su Twitter l’ex premier che di certo ha ancora il dente avvelenato con Renzi che gli sfilò la sedia di Palazzo Chigi. Sono passati tre anni, ma Letta, a quanto pare, non dimentica.: quell’«Enrico stai sereno» che nascondeva la prossima rottamazione è entrato ormai nel lessico politico. Dietro alle parole di Letta c’è una valutazione su Gentiloni ma anche una questione di veleni personali, la stessa che probabilmente ha Emma Bonino, anche se più sfumata. Renzi la rimosse da minostro degli Esteri con l’argoento che avrebbe alzato l’età media del governo. Renzi puntava al record di esecutivo più giovane di sempre. Adesso la Bonino, che è in colaizione con il Pd, se n’è uscita con la frase: «con Renzi ci conosciamo poco, non c’è mai stato un rapporto e non si è creato in queste elezioni». La radicale ha aggiunto anche che «serve un periodo di maggiore rassicurazione per questo paese e l’esperienza e le modalità di Gentiloni possono essere più propizie per un’inclusione».
• Sì direbbe che tutto porta verso un governo a guida Gentiloni.
Già. Segnalo che Pietro Grasso ieri sera, dal divanetto di Porta a porta
, ha aperto a un governo di scopo che vari una nuova legge elettorale: «Se ci dovesse essere questo scopo, se il presidente Mattarella ce lo chiedesse, noi saremmo assolutamente disponibili». Non so quanto D’Alema sia d’accordo.
• E a destra?
Si discute ancora sul possibile premier: Berlusconi ha rilanciato il nome di Tajani, Salvini punta su se stesso. Dipenderà da chi prenderà più voti tra Forza Italia e Lega. È un dibattito sterile perché è molto difficile che il centrodestra ottenga la maggioranza necessaria per governare in autonomia. Intanto, oggi pomeriggio, Berlusconi, Salvini e Meloni si faranno vedere insieme per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale. Un breve incontro al Tempio di Adriano a Roma per lanciare un messaggio unitario a favore di telecamera. Niente piazze o comizi condivisi. È rimasto poi in sospeso il problema di Casapound: i neofascisti si sono detti disponibili ad appoggiare un governo della Lega, Berlusconi ha fatto sapere che non se ne parla. Salvini, meno netto, ha detto d’esser disposto a discutere con loro: «Se saranno in Parlamento. Quando sarò premier parlerò con tutti i partiti rappresentati in Aula». • Intanto dal M5s continuano ad annunciare i loro ministri.
Ieri è stato il turno del ministro dello Sport, l’ex nuotatore Domenico Fioravanti, due volte campione olimpico a Sydney 2000. A Pescara, dove è stato presentato, c’erano Di Battista e Zeman, l’allenatore che ora guida la squadra della città. Fioravanti è il sesto nome reso pubblico dell’ipotetico gabinetto Di Maio: prima ci sono stati il generale dei carabinieri Sergio Costa, destinato all’Ambiente, Pasquale Tridico per il Lavoro, Alessandra Pesce designata all’Agricoltura, Giuseppe Conte alla Pubblica amministrazione e Lorenzo Fioramonti all’Economia o allo Sviluppo economico. Proprio Fioramonti ieri è stato accusato dal deputato Pd Fiano di aver sostenuto in passato campagne d’odio e boicottaggio contro Israele. Accuse negate da Fioramonti. Di Maio ha già fatto avere a Mattarella una mail con la lista dei 17 ministri del prossimo governo cinquestelle. Una mail che naturalmente Mattarella non ha letto né mai leggerà (almeno ufficialmente). È abbastanza surreale questa strategia del M5s, che punta a mostrarsi come una forza ormai matura e non più come un movimento anti-sistema. In un anticipo del primo, futuro consiglio dei ministri, Di Maio ha anche riunito l’altro giorno il suo governo. Adesso si tratta solo di vincere le elezioni.
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