1 marzo 2018
APPUNTI PER GAZZETTA SUL DELITTO IN SLOVACCHIA
L’ultimo articolo di Jan Kociak: «La mafia italiana ha trovato casa in Slovacchia
Jan Kociak, 27 anni, ammazzato l’altro giorno nella sua casa di Velka Maca, una località della Slovacchia occidentale, non troppo lontano da Bratislava, insieme con la fidanzata Martina Kušnírova, anch’essa 27enne, aveva scritto nel suo ultimo articolo, pubblicato ieri dal suo giornale Aktuality, che le ‘ndrine calabresi erano venute in Slovacchia a insegnare ai politici slovacchi come si truffa la Ue. «Possiedono tutt’ora decine d’imprese, per decine di milioni d’euro. Gestiscono centinaia di migliaia di ettari di terreno, che attirano milioni di euro di sovvenzioni. Hanno cominciato a fare affari, a sfruttare i fondi europei, ma soprattutto a costruire rapporti con importanti persone degli ambienti politici, fino ad arrivare al governo della Repubblica slovacca». In redazione giurano che ad ammazzare i due giovani sono stati i calabresi. In effetti Maria Troskova, assistente del premier Robert Fico ed ex miss Universo, è in affari con Antonino Vadalà, imprenditore reggino di Bova Marina (altri Vadalà sono noti a Reggio per i traffici di cocaina con la Colombia). Ieri si sono dimessi: la Troskova, Viliam Jasane consigliere per la sicurezza di Fico, Marek Madic, ministro della Cultura, che mesi fa aveva chiamato i giornalisti «iene» e «prostitute».
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Il 22 febbraio è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa nella sua casa nei pressi di Bratislava il giornalista investigativo Jan Kuciak: con lui, uccisa anche la fidanzata. I corpi sono stati trovati domenica. Il reporter 27enne del sito Aktuality.sk indagava sulle attività della criminalità italiana in Slovacchia e sui presunti contatti di persone dell’entourage del premier Fico con la ’ndrangheta. Il duplice omicidio segue quello di ottobre della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia: denunciava la corruzione sulla sua isola.
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++ Slovacchia: reporter ucciso, 7 gli italiani arrestati ++
Il capo della polizia: ’I fermi durante le perquisizioni’ (ANSA) - BRATISLAVA, 1 MAR - In connessione con l’omicidio del giornalista Jan Kuciak, la polizia slovacca ha arrestato oggi durante le perquisizioni a Michalovce e a Trebisov sette persone. Lo ha detto in una conferenza stampa a Kosice Tibor Gaspar, il capo della polizia, spiegando che i 7 sono stati fermati "come sospettati, con il consenso del procuratore". Tutti i nomi degli arrestati sono italiani: oltre a Antonino Vadalà, Sebastiano Vadalà e Bruno Vadalà, sono stati fermati - ha detto Gaspar - Diego Roda, Antonio Roda, Pietro Catroppa (54 anni) e Pietro Catroppa (26 anni).(ANSA). YK1-PEN/AMB 01-MAR-18 17:41 NNNN
Intanto, però, ci sono già state conseguenze nel governo slovacco guidato dal primo ministro Robert Fico. Nei giorni scorsi si è dimesso dal suo incarico il ministro della Cultura, Marek Madaric, che ha detto: «Dopo quello che è successo, non riesco a immaginare di rimanere a fare il ministro». Si sono dimessi anche due stretti collaboratori di Fico finiti nell’inchiesta di Kuciak sulla ’ndrangheta: i due hanno negato tutte le accuse.
Il corpo di Kuciak era stato trovato insieme a quello di Martina Kušnírova, anch’essa 27enne, nella sua casa di Velka Maca, una località dell’ovest della Slovacchia, poco lontana dalla capitale Bratislava. Kuciak è morto per un colpo d’arma da fuoco al petto, la sua fidanzata alla testa. Kuciak lavorava da tre anni per Aktuality, che appartiene a Ringier Axel Springer, un’azienda di periodici svizzero-tedesca, e si era occupato di casi di corruzione e truffe intorno ai fondi strutturali dell’Unione Europea, quelli pensati per favorire la crescita economica dei paesi membri con economie più deboli e che ad esempio servono per rimborsare l’Iva a chi fa certi investimenti in questi paesi.
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Slovacchia: Kuciak; collaborano a inchiesta Fbi e Scotland Yard =
(AGI) - Bratislava, 1 mar. - Sono coinvolte anche l’Fbi e Scotland Yard nell’inchiesta in Slovacchia del giornalista Ja’n Kuciak e della sua fidanzata: lo ha reso noto il ministro dell’Interno a Bratislava, Robert Kalinak, spiegando su Twitter che e’ in contatto "con le piu’ importanti agenzie investigative del mondo", a cui ha chiesto aiuto dopo la scoperta dei corpi di Kuciak e della sua fidanzata, Martina Kusnirova. Kuciak, secondo quanto emerso al momento, stava lavorando a un’inchiesta sui fondi Ue concessi a italiani legati alla ’ndrangheta e residenti in Slovacchia. (AGI) Bia 011800 MAR 18 NNNN
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MONICA PEROSINO, LASTAMPA.IT –
Ci sono i fratelli Bruno, Antonio e Sebastiano Vadalà, 40, 42 e 45 anni, e il cugino Pietro Catroppa, 51 anni, fra le dieci persone arrestate per l’omicidio del giornalista Ján Kuciak, 27 anni, ucciso con un colpo di pistola al petto mentre era in casa sua, assieme alla fidanzata, Martina Kusnirova, tra giovedì e domenica sera. Durante una vasta operazione della polizia slovacca che si è svolta alle prime luci dell’alba nelle città di Michalovce e Trebišov, sono finiti in manette anche Diego e Antonio Rodà, 62 e 58 anni, e un secondo Pietro Catroppa, di 26 anni. Dopo gli interrogatori è arrivata la conferma che sono stati fermati in relazione al delitto.
“Nino, l’italiano”
«Talian», l’italiano, vive in una piccola cittadina slovacca quasi al confine con l’Ungheria. La villetta di «Nino, l’italiano» pare una fortezza piantata in un’altrimenti tranquilla e borghese area residenziale. Circondata da un alto muro intonacato di giallo, protetta da cancellate in ferro e telecamere, si può solo intuire la Lamborghini bianca parcheggiata oltre la staccionata. Ed è proprio lì, dove Antonio vive con il fratello Bruno, che la polizia è entrata stanotte per le perquisizioni.
Un caso politico
Gli arresti dei sette italiani si aggiungono ai tre di ieri: si tratta di spacciatori che, in un’intercettazione, parlano di «prendere le armi per andare a Velká Maca», il paese dove abitava Ján Kuciak. Intanto sono cadute le prime teste a Bratislava: oltre alle dimissioni del ministro della Cultura, hanno fatto un passo indietro dall’ufficio del governo i due coinvolti nell’inchiesta del giovane reporter: Maria Troskova, e il segretario del consiglio di sicurezza Vilian Jasan, anche lui indicato come vicino all’imprenditore italiano che farebbe parte dell’orbita `ndranghetista. I due negano: «Si sta facendo abuso dei nostri nomi nella lotta contro il primo ministro Fico». Quanto al ministro della Cultura Marek Madaric, le sue dimissioni poggiano su altri motivi: «Dopo quello che è successo non posso rimanere calmo seduto nella mia poltrona». A Bratislava in molti sono scesi in piazza, manifestazioni commosse con accuse al governo.
Il caso giornalistico
Fino a poche ore prima della morte Ján Kuciak stava lavorando a una corposa inchiesta sul pagamento fraudolento di fondi Ue a italiani residenti in Slovacchia con presunti legami con la ’ndrangheta calabrese. Di favori e affari tra persone vicine al governo e imprenditori dalle attività quantomeno sospette, di sostegni elettorali garantiti in cambio di protezione. Sul piatto, tra l’altro, i fondi europei per l’agricoltura e le energie rinnovabili: 2 miliardi Ue per lo sviluppo rurale (2014-2020), 6 milioni per le energie alternative, e oltre 8 milioni di euro slovacchi «dissolti» nelle mani delle famiglie nel 2015-2016. Un bottino ghiotto per i calabresi, che improvvisamente diventano imprenditori agricoli e businessmen devoti al fotovoltaico. Ján Kuciak punta il dito su quattro famiglie nell’orbita della criminalità calabrese, con le mani in pasta soprattutto nell’agricoltura, nel fotovoltaico, nel biogas e nell’immobiliare. Decine e decine di società, aperte e poi chiuse e centinaia di certificati di proprietà di terreni agricoli per i quali avrebbero ricevuto fraudolentemente sussidi.
Le famiglie coinvolte
Alla testa sempre gli stessi nomi: Vadalà, Rodà, Catroppa e Cinnante. Vicini, più o meno strettamente, ai clan calabresi. E vicini, chi più chi meno, al mondo politico slovacco. Dopo anni di affari passati inosservati in Slovacchia, è Antonio Vadalà a «mettersi più in luce». In passato, confermano fonti investigative di Bratislava, era stato coinvolto in episodi «minimi» e mai appurati. Una frode immobiliare che aveva fatto svanire 80 mila euro di Iva. Alcuni dipendenti di una ditta agricola di Trebisov, concorrente di Vadalà, che subiscono minacce «particolari»: corone mortuarie e proiettili di fronte ai cancelli. Vadalà compare anche nelle carte di un’altra inchiesta, questa volta in Italia, nel 2003, che si apre proprio nel periodo del suo trasferimento in Slovacchia e che proverebbe i suoi legami più che stretti con il clan. È solo nel 2011 che Vadalà fa il salto e diventa socio di Maria Troskova, ex modella, e oggi consigliera del premier Fico. Con lei fonda un’azienda, una delle 40 elencate nel registro delle imprese di Bratislava, e di cui risulta titolare l’italiano.
Ma è la famiglia Rodà che i piedi in Slovacchia li mette per prima, con Pietro Rodà coinvolto già nel 2007 nell’operazione «Ramo spezzato», che aveva smantellato un commercio fraudolento di bestiame tra Italia e Slovacchia. Oggi, è un altro Rodà, il fratello Diego, a prendersi la ribalta, oltre che per le sue attività come «imprenditore agricolo» per la sua collezione di Ferrari e per la mania di parcheggiarne una in salotto.
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GIULIANO FOSCHINI, REPUBBLICA.IT –
La polizia slovacca ha arrestato sette cittadini italiani per l’assassinio di Jan Kuciak, il giornalista slovacco ucciso nei giorni scorsi a Bratislava insieme alla compagna. Tre degli arrestati erano al centro dell’inchiesta cui il reporter stava lavorando: si tratta dell’imprenditore Antonio Vadalà, calabrese da anni trasferito in Slovacchia, del fratello Bruno e del cugino Pietro Catroppa. Kuciak li aveva accusati di avere rapporti con la ’ndrangheta e di gestire milioni di euro di fondi comunitari. Stanotte la polizia ha fatto irruzione nella loro casa.
Vadalà, come racconta oggi Repubblica in edicola, classe 1975, di Melito Porto Salvo, aveva una vecchia condanna a un anno e sei mesi in Italia per aver favorito la latitanza di Domenico Ventura, boss di ’ndrangheta ricercato per omicidio. Trasferitosi in Slovacchia, si lancia nell’affare energia e agricoltura mettendo le mani sui fondi europei: presenta un progetto per la produzione di energia da biomasse per 70 milioni ed entra in affari direttamente con Maria Troskova, ex finalista di Miss Mondo 2007, poi funzionaria del ministero dell’Economia e infine consigliera capo del premier Robert Fico. Ieri, dopo lo scandalo, la Troskova si è dimessa dall’incarico.
Sull’uccisione di Jan Kuciak è intervenuto su Facebook anche Roberto Saviano, (domani un suo editoriale apparirà domani su Repubblica in edicola e sulla app Rep): "La Slovacchia si accorge delle mafie solo dopo la morte del giovane giornalista Ján Kuciak e della sua compagna Martina Kusnirova", ha scritto Saviano." Da anni ’ndrangheta, camorra e Cosa nostra investono e si nascondono in Slovacchia".
FRANCESCO BATTISTINI, CORRIERE.IT –
BRATISLAVA – I Vadalà, i Rodà, i Catroppa. “Non avevamo ancora prove per scrivere che fossero coinvolti nell’assassinio di Jan e di Martina – dice un caposervizio del giornale, scorrendo le notizie -. Ma ne avevamo perché la polizia si muovesse…”. Nella redazione di Aktuality.Sk, vicino ai mazzi di fiori posati dai colleghi sulla scrivania di Jan Kuciak, c’è un preoccupato sollievo. Li hanno presi: «Ma li terranno dentro?». Che cosa significhi toccare certi interessi, l’ha capito sulla sua pelle il giovane collega ammazzato. Lo stanno capendo gli altri reporter, quelli che hanno chiesto d’essere trasferiti ad altro incarico perché tengono figli, e non se la sentono più. Una parete tiene appesa una foto del premier Fico e una frase preveggente: «Basta una piccola candela a fare una luce sufficiente».
Le candele della gente in piazza, che domanda le dimissioni del governo. La luce degli investigatori, ai quali è bastato leggere fra le righe l’inchiesta incompiuta di Jan per precipitarsi coi corpi speciali a Michalowice, una cittadina di 40mila abitanti verso l’Ucraina, il feudo orientale dei calabresi, oltre che in altre città della Slovacchia: «Sì – dicono -, possiamo chiamarla proprio la pista italiana». Antonino, Bruno, Pietro. La quantità d’informazioni raccolta dal reporter assassinato, le informazioni trasmesse dall’antimafia calabrese, la rete dei giornalisti Occrp-Irpi che in Europa collaborava con Aktuality – una testata di proprietà dell’editore tedesco Springer e del gruppo Suisse Ringier -, la quantità era tale da costringere a qualche mossa il capo della polizia di Bratislava, pure lui nella bufera per aver a lungo tollerato le connessioni fra ‘ndranghetisti e pezzi del governo. I Vadalà, i Rodà e i Catroppa avevano forse sottovalutato quel giornalista con la faccia da ragazzino, perché il dossier su di loro era solo all’inizio: oggi, Aktuality ne ha pubblicato la seconda puntata. Raccontando l’ascesa di queste famiglie arrivate negli anni ’90 dalla Calabria di Bova Marina e Condofuri, leste a sfruttare «le occasioni» offerte dal crollo del Muro e da un’economia totalmente sregolata, spesso illegale.
Cinque famiglie e 50 società, che in pochi lustri hanno preso il controllo di tutto il business agricolo nella Slovacchia orientale, mettendo insieme migliaia di ettari (un decimo della provincia di Michalowce è di loro proprietà) e un patrimonio che oggi è stimato ufficialmente sui 100 milioni di euro. Un tesoro che secondo gl’investigatori assomma anche varie attività «non registrate» e soprattutto tiene da parte il boccone ghiottissimo degli aiuti europei agli slovacchi (15 miliardi, solo nel periodo 2014-2020). Non facevano molto per passare inosservati, i calabresi dell’Est. Tre Ferrari rosse, una ciascuna, per rombare su e giù in autostrada. Carichi di bestiame inesistente sulla loro scuderia di camion, aveva scoperto Jan, camion che servivano solo a intascare fondi agricoli generosamente concessi agli amici italiani dal governo slovacco. Su Pietro Rodà, in particolare, si stava concentrando il lavoro del reporter ucciso: indagato dall’antimafia calabrese nel 2007 per associazione di stampo mafioso, sospettato di traffici ed evasioni fiscali, più volte arrestato, infine assolto dalla Cassazione nel 2014 e tornato alla sua vita di rispettabile imprenditore italiano all’estero. E poi tutta la famiglia Vadalà, che nel Reggino conoscono per il soprannome del patriarca, “Cappeddazzu” (il grande cappello). E la genia dei Catroppa, col capostipite che tutti chiamano “il mastro di giornata”. Quante cose aveva saputo Jan, investigando sulla Calabria Connection. Il morto che parla, attraverso i suoi scritti, ora scuote un intero Paese.
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GIULIANO FOSCHINI E CARLO BONINI, REPUBBLICA 1/3 –
Il desk di Jàn Kuciak nell’open space della redazione del sito Aktuality, sorvegliata da quattro agenti armati della polizia, è ora una scrivania vuota. Come la sedia ergonomica nera che le è di fronte. Mercoledì scorso, 21 febbraio, ci si è seduto un’ultima volta, nel chiasso creativo di uno spazio arredato con puff azzurri, lavagne, e poster di Batman e Capitan Harlock. Aveva chiuso la prima parte dell’inchiesta cui lavorava dal dicembre 2016 sui legami tra uomini in odore di ’ndrangheta e l’ufficio del primo ministro Robert Fico (pezzo pubblicato postumo ieri in rete). Ricorda Peter Bardy, il direttore: "Quando ebbi finito di leggere, Jàn mi disse: "Che ne pensi?". E io risposi: "Sembra il plot del Padrino di Mario Puzo". Ma il problema non era quello che avevo letto, ma quello che ancora dovevo leggere. E che chi ha ucciso Jàn e la sua fidanzata Martina non voleva che nessuno leggesse".
Si parte dunque da qui. Da un indizio monco che stringe sui nomi cerchiati in blu di tre calabresi trapiantati nella Slovacchia orientale dove si erano scoperti fortunatissimi imprenditori: Antonino Vadalà, classe 1975, da Melito Porto Salvo; Diego Rodà, di Condufuri, e Pietro Catroppa. E da due nomi che, fino a ieri, giorno in cui, insieme al ministro della Cultura Madek Madaric, hanno rassegnato le dimissioni, erano nella stanza dei bottoni del governo del Paese: Maria Troskova, ex finalista di Miss Mondo 2007, spogliarellista, e quindi funzionaria del ministero dell’Economia e consigliera capo del Premier; Viliam Jasan, ormai ex segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale, con un passato di imprenditore nelle agenzie di security. Vadalà, Troskova e Jasan - aveva scoperto Jàn - erano la stessa cosa. O, almeno, avevano fatto affari insieme attraverso la società "Gia management".
Antonino Vadalà, dunque. La sua foto è sulla lavagnetta di Jàn. La sua voce è in un messaggio di risposta inviato alle domande di Repubblica. Scrive: "Con questa storia non ho niente a che fare. È solo una speculazione politica. Lo dice anche Tibor Gaspar, il capo della polizia". Gaspar, lo vedremo, dice anche altro. Quel che conta è la storia che, di Vadalà, di Rodà e di Catroppa dicono atti custoditi dagli archivi di polizia e di giustizia di Bratislava e Roma. Antonino Vadalà, classe 1975, calabrese di Melito Porto Salvo, nel reggino, ha un passato non esattamente specchiato e che prometteva altro che non una carriera nelle fonti rinnovabili o in agricoltura. A inizio anni 2000 viene condannato a un anno e 6 mesi per aver favorito, insieme a un uomo del clan Libri-Zindato, la latitanza di Domenico Ventura, boss di ’ndrangheta ricercato per omicidio. Antonino porta anche un cognome pesante. I Vadalà sono infatti una famiglia di rispetto di Bova Marina. E non è chiaro quanto lui e il padre Giovanni in quella famiglia pesassero.
Si sa invece che, nel 2009, lasciatosi alle spalle la Calabria, il nostro Antonino presenta un progetto per la costruzione di due centrali per la produzione di energia da biomasse nel distretto industriale di Lucenec (Slovacchia orientale) per 70 milioni di euro. Una bella somma per uno che fino a qualche anno prima nascondeva latitanti. Si sa anche che il business delle "rinnovabili" è una passione tale che con Antonino fa affari Diego Rodà da Condufuri. Un tipo che, tra il 2012 e il 2017, riceve fondi Ue tramite il governo slovacco per 8 milioni e 300mila euro destinati a centrali di energia a biomasse. Anche Rodà è un cognome pesante. Un clan su cui - come confermano a Repubblica fonti qualificate di polizia - esiste una storia giudiziaria importante per reati legati al narcotraffico e all’associazione a delinquere di stampo mafioso e che "è necessario a questo punto continuare a esplorare". C’è infine il terzo calabrese del "ring" messo a fuoco dalle inchieste di Jàn: Pietro Catroppa, altro cognome di ’ndrangheta, con parentele di sangue negli archivi di polizia. È socio e testa di legno di Vadalà in almeno due delle 73 società a suo nome: la "Prodest" e la "Vadala group".
Vadalà, Rodà, Catroppa, i cognomi di una parte della corona di spine’ndranghetista del reggino. Il capo della polizia slovacca, Tibor Gaspar, non li pronuncia. Anche se, concede, "è molto probabile che la ragione per cui è stato ucciso abbia a che fare con il suo lavoro di giornalista". Allo stato - aggiunge - l’inchiesta si rigira tra le mani, o almeno questo dà a intendere, pochi elementi di fatto. La data dell’esecuzione - tra giovedì e domenica scorsi, nella casa di Jàn a Velka Maca, 60 chilometri da Bratislava - l’arma, una semiautomatica usata per uccidere sia il giornalista che la sua fidanzata, e una curiosa circostanza, per la quale la polizia ha effettuato un fermo. Dalle intercettazioni in corso su un’inchiesta per narcotraffico, la polizia slovacca scopre infatti che, nella seconda metà della scorsa settimana, due uomini armati si erano dati appuntamento proprio a Velka Maca per ragioni che al telefono non spiegano. "Li stiamo cercando - dice il capo della polizia - e abbiamo fatto, oltre a un fermo, perquisizioni che hanno portato al sequestro di armi e munizioni".