Corriere della Sera, 1 marzo 2018
Addio allo storico Pierre Milza. Una lettura europea del fascismo
Ho conosciuto Pierre Milza, scomparso all’età di 85 anni, alla Sorbona nel 1977, in occasione della cerimonia con cui una giuria presieduta da Jean-Baptiste Duroselle (uno dei maggiori storici di relazioni internazionali del secolo scorso) gli conferiva un dottorato in Lettere. Ma avevo già letto la sua monumentale ricerca sulla emigrazione italiana in Francia e sapevo che stava lavorando con Serge Berstein sul fascismo italiano e i suoi simpatizzanti francesi.
Milza non era, nel 1977, un giovane «dottore». Figlio di un operaio italiano immigrato in Francia negli anni Venti, era nato a Parigi nel 1932 e aveva fatto, per due decenni, una dignitosa carriera nel mondo della educazione nazionale. Si era diplomato alla Scuola normale degli istruttori, aveva insegnato Storia in una scuola secondaria e più tardi in un liceo di provincia, era stato addetto al Centro nazionale della ricerca scientifica e assistente universitario.
Duroselle aveva capito che quel tenace studioso francese di origine italiana aveva la stoffa dello storico e lo presentò a Enrico Serra, consulente della Farnesina e direttore del suo archivio. Nacque così un gruppo di studi italo-francese che lavorò per parecchi anni a esplorare i molti passaggi storici, fra Ottocento e Novecento, in cui Francia e Italia erano state ora alleate, ora avversarie, ma sempre attratte dalle rispettive virtù e dai rispettivi difetti. Con un piede in Francia e l’altro in Italia, Milza aveva finalmente scoperto la sua vocazione.
Negli anni seguenti passò dalla Sorbona all’Istituto di Scienze politiche, fondò e diresse il Centro di storia europea del XX secolo, diresse la «Revue d’histoire contemporaine». Era attratto dall’insegnamento, ma ancora più, credo, dal desiderio di raccontare tutto ciò che aveva appreso e insegnato nel corso degli anni.
La sua bibliografia è impressionante. Dopo i libri sulla emigrazione italiana e sul fascismo, scrisse una Storia d’Italia (un volume di mille pagine) che cominciava all’epoca degli Etruschi, arrivava ai nostri giorni e terminava con una rassegnata citazione di Jules Michelet: «È nel mezzo delle sofferenze, dei suoi complotti e delle sue rivoluzioni che l’Italia ha offerto al mondo la quintessenza della sua civiltà».
Milza non era un medievista e non credo che fosse attratto dalla scuola delle «Annales», la corrente storiografica che considerava la storia dei costumi e delle mentalità molto più importante di quella degli Stati e delle loro battaglie. Ma aveva studiato con un grande medievista, Yves Renouard e affrontò brillantemente, nel suo libro, anche il lungo Medioevo italiano. Terminata la Storia d’Italia (molto amata in Francia e pubblicata in Italia da Corbaccio) si dedicò a quattro grandi biografie di personaggi della Penisola: Garibaldi, Mussolini, Verdi, Pio XII. Ma non abbandonò la storia di Francia e pubblicò, insieme a due biografie (Voltaire e Napoleone III), una storia della guerra franco-prussiana del 1870-71, sfociata nella Comune di Parigi.
Il tema del fascismo nei suoi studi è ricorrente, quasi ossessivo. Il figlio di immigrati (il padre era antifascista) voleva esplorarne le radici, comprendere le ragioni del consenso di cui il regime aveva goduto soprattutto negli anni Trenta. Dopo gli studi con Serge Berstein sul movimento fascista come fenomeno europeo, scrisse anche una Storia del fascismo da piazza San Sepolcro a piazzale Loreto (Bur) e un saggio sul rapporto che aveva legato Mussolini a Hitler, soprattutto nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale.
Credo che dietro a questi studi vi fosse una immensa curiosità. Milza scriveva quando un avvenimento non gli era chiaro, quando aveva bisogno di spiegare a se stesso la natura e le motivazioni di un personaggio storico. Questa straordinaria produzione storiografica gli procurò qualche osservazione critica e qualche dubbio sulla precisione delle sue ricerche. Le critiche non mi sembrarono meritate. Dalla lettura di ogni suo libro uscivo sempre con molte notizie in più e una crescente ammirazione per questo infaticabile scrivano del XX secolo.
Ho tralasciato un piccolo particolare della sua vita. Milza è morto a Saint Malo, la città bretone dei corsari del re di Francia, era proprietario di cavalli e li amava appassionatamente.