la Repubblica, 1 marzo 2018
Anton Giulio Majano, l’uomo che inventò lo sceneggiato
Nella ricostruzione degli storici era il 1964 e in giro per l’Italia c’erano promotori che vendevano l’abbonamento alla televisione e faticavano assai. Poi iniziò in tv La Cittadella, Alberto Lupo nei panni del dottor Manson (aveva il doppio degli anni del personaggio, ma lui, il regista, si inventò un espediente di racconto facendo partire il tutto con il dottore molto invecchiato, che raccontava la sua vita a un allievo: nella scena dopo ecco l’Alberto Lupo 40enne, a quel punto sembrava un virgulto): alla fine delle puntate in onda, i promotori avevano la fila di italiani che volevano solo lei, la televisione. Lui, il regista, era invece Anton Giulio Majano e per definire, grossolanamente, il paragone tra i moderni realizzatori di fiction tv e quello che lui riuscì a fare inventando il teleromanzo, basta immaginare un qualche velista di oggi con moderne imbarcazioni contrapposto a Magellano, per esempio.
I numeri contavano parecchio, perché il Majano autore fino ai primi anni Sessanta di regie cinematografiche magari non indimenticabili, decise di diventarlo, indimenticabile.
Passare da certi strepitosi B-Movie all’italiana (oltre il surreale: cercare sul web l’horror Seddock, l’erede di Satana, con ancora Alberto Lupo protagonista) alla nascente televisione di massa significava fondare un genere, un clamoroso mezzo tecnologico, la comunicazione del futuro e soprattutto costruire quell’entità imprescindibile ancora oggi che è il pubblico televisivo. Con intenti pedagogici, certo, senza negarsi nulla in termini di cattura dei sentimenti popolari di un paese intero, badare appena appena alle critiche (lentezza, sentimentalismi eccessivi, piacioneria) e anzi rivendicare il metodo: cosa di meglio che prendere certi classici della letteratura internazionale e farne una sorta di biblioteca a prezzi modicissimi in grado di arrivare in ogni angolo sperduto del paese?
La cesura tra gli over 50 e i più giovani è, ahinoi, decisiva: ma chi ha vissuto quell’epoca bianca e nera, ascoltando titoli come La Cittadella, La Freccia Nera, E le stelle stanno a guardare (Cronin, un minore certo, ma da venti milioni di spettatori per noi) non può rimanere indifferente. E concedendosi, Majano, anche la qualifica di gigante di genere e generi, il poliziesco alla Sheridan ma anche la prima cosa un po’ moderna che si ricordi in questo campo, ovvero la serie Qui Squadra Mobile. Majano era oltre, a rivederlo raccontare (la mostra di locandine della collezione Gerosa a Fiere di Parma e inoltre sul web si trova un bellissimo doc di Raiuno di molti anni fa) si afferra subito l’incredibile distanza dei tempi, parlando di Hitchcock e di cinema alto&popolare come di pane quotidiano, mettendo la leggenda sul tavolo e narrandola.
Non piaceva a tutti: i tempi iniziavano a farsi molto esigenti in fatto di racconto e immaginario, ma la centralità di AGM nell’epoca in cui si fondava tutto quanto è qualcosa che diventa comunque riduttivo tentare di spiegare. E via con teleromanzi, ovvero poi sceneggiati, il giocare con quella tv che era teatro e ne era l’evoluzione a disposizione di tutti e, dentro, tutti i giganti della recitazione del secondo Novecento: se esiste davvero un pantheon di padri della patria, in forma minore quanto si vuole, ci vuole coraggio a tenerne fuori la totalizzante figura di Anton Giulio Majano.