La Stampa, 1 marzo 2018
Ferrovie, il sistema fragile che non è programmato per affrontare gli imprevisti
Quello che è successo è fin troppo facile da spiegare. Il professor Luca Studer, responsabile del Laboratorio Mobilità e Trasporti del Politecnico di Milano, non usa tanti giri di parole: «È successo che ha nevicato. In certe aree del Paese la neve può essere un evento raro ma di sicuro è stato sottovalutato l’impatto che avrebbe avuto». Sono bastati venti centimetri di neve su Roma per far collassare il sistema ferroviario italiano. E se si ferma Roma dove transitano 150 milioni di passeggeri ogni anno si ferma tutto. A Roma Termini ci sono 300 scambi che deviano i treni sulle diverse linee. Solo 150, cioè uno su due, sono dotati di scaldigli che tengono i binari «al caldo». Gli altri 150 non sono dotati di scaldigli. Quello che è successo lo spiega il professor Roberto Maja, docente di Ingegneria dei Trasporti e titolare del corso Esercizio Ferroviario al Politecnico di Milano: «Ci sono delle parti mobili sui deviatori, come si chiamano tecnicamente gli scambi, che con il ghiaccio mobili non sono più».
Ogni scaldiglio costa più o meno 4500 euro. Cifra destinata ovviamente a lievitare a sei zeri contando le infrastrutture necessarie per alimentarli. Detto col senno di poi sarebbe facile dire che basta trovare il colpevole di quel mancato investimento milionario ma siccome siamo in Italia non è così facile. La rete ferroviaria del nostro Paese è lunga più di 20 mila chilometri di cui 16 mila e 751 gestiti direttamente da Rfi e oltre 3 mila e 300 in concessione. Impensabile dotare ogni deviatore di scaldigli. Bene se ci sono sulle linee del Brennero per dire. Meno grave che non ci siano in Sicilia. Qualcuno ha deciso che a Roma ne bastavano 100. Ha nevicato e la rete è andata in tilt. Come e dove posizionarli lo spiega il professor Maja: «Su certe aree si fanno calcoli delle probabilità. Fino a Firenze e agli Appennini i deviatori sono assistiti. È chiaro che da Firenze in giù la situazione è diversa e che ci possano essere delle carenze. Ma non è che in Europa stiano meglio. Se si esclude Svezia o Finlandia, dove al freddo e al gelo sono abituati e ovviamente attrezzati».
Siccome siamo in Italia adesso si corre ai ripari. Renato Mazzoncini, l’ad di Fs che ha pubblicamente chiesto scusa per i disagi, promette di correre ai ripari e annuncia che a questo punto verranno spesi i 100 milioni necessari per mettere in sicurezza la rete ferroviaria nel Lazio. Farlo prima ammette non sarebbe stato possibile: «La legge ci vieta l’overdesign, cioè gli investimenti ingiustificati anche rispetto alla sistematicità degli eventi». Tutto bene. Tutto chiaro. Se non fosse che i vincoli di legge, il calcolo delle probabilità, gli investimenti sempre ridotti, valgono per tutte le criticità del sistema ferroviario. Tanto per dire solo da 20 anni i binari italiani sono classificati tutti come C e D, cioè al massimo della categoria, come previsto dalle direttive europee. Certo poi capita che a Pioltello mettano una zeppa di legno a sostenere il binario. Passa un treno a 140 all’ora e la zeppa si rompe e tre donne muoiono. O che in Puglia due treni si scontrino perchè viaggiano a binario unico ed è mancato il coordinamento tra i due convogli.
Il professor Roberto Maja non fa di tutta l’erba un fascio: «La zeppa a Pioltello semplicemente non doveva esserci. Le responsabilità le accerterà la magistratura. Il binario unico è sicuro. Il problema sono i controlli. E la manutenzione che una volta era lasciata alle singole aziende che avevano una propria procedura. Oggi ci sono le direttive europee e quelle dell’Agenzia Nazionale della Sicurezza». Anche il professor Luca Studer promuove la rete ferroviaria italiana: «È sufficiente. Ma è chiaro che ci sono molte differenze tra l’Alta velocità e le reti locali». Tanto per dire ieri sulla Milano-Laveno ci sono stati ritardi perchè il freddo ha fatto saltare una saldatura tra i binari. Ammette Trenord: «Capita frequentemente in inverno». Il freddo a meno 6 gradi ha mandato in tilt anche la stazione di Trieste.
Linee locali si capisce. Quelle che rendono meno in termini economici. Anche se alla fine la rete dell’Alta Velocità in Italia è lunga poco meno di 1500 chilometri ma è quella dove si investe di più. A differenza delle reti secondarie dove secondo l’ultimo rapporto di Legambiente sui pendolari si capisce l’aria che tira. Nel 2015 i pendolari sono aumentati del 2,4%. Le loro linee sono le più tagliate: -6,5% nel 2010. Ma soprattutto come sanno bene i pendolari sono le più vecchie, le più lente, calde d’estate e fredde d’inverno, spesso in ritardo e stando alla cronaca nera neppure sicure.