La Gazzetta dello Sport, 1 marzo 2018
La Gazzetta a tu per tu con il candidato Domenico Fioravanti
«Forza che questo Paese lo dobbiamo cambiare». Dalla reception dell’albergo parte il primo endorsement della giornata per Domenico Fioravanti, con inevitabile contorno di richiesta di autografo. Il bicampione olimpico è piacevolmente sorpreso. Sembra più emozionato adesso che un giorno di quasi 18 anni fa, quando lo incontrammo a Sydney, una medaglia d’oro già al collo e un’altra in arrivo: «Pensare che i 200 rana non li volevo fare, lo dissi pure a Castagnetti, il mio tecnico». Che la pensava all’opposto: e fu ancora oro.
MINISTRO Sono ore ad alta intensità per Fioravanti. Martedì ha visto Luigi Di Maio e detto ufficialmente sì. Ora non è solo il candidato nel collegio uninominale «Barriera di Milano» di Torino, ma il futuro ministro dello Sport in caso di vittoria del Movimento 5 Stelle nelle elezioni politiche di domenica. «Sarà lui», ufficializzerà più tardi infatti Alessandro Di Battista, incartando all’istante anche una frecciata elettorale: «Berlusconi, che è rosicone, ora dirà che Domenico nuotava male». In ogni caso, è cambiata la piscina: oggi pomeriggio giacca e cravatta (o no?) Fioravanti sarà presentato al Salone delle Fontane, all’Eur, nella squadra di governo a 5 Stelle. Nello stesso posto in cui, una settimana più tardi, arriveranno i podisti della RomaOstia a ritirare i pettorali per correre domenica 11 marzo. Fioravanti partirà una settimana prima, sperando che la sua mezza maratona sia piuttosto lunga: Parlamento, Governo... Vabbè, andiamoci piano e ricominciamo da capo.
VINCERE E PERDERE Tutto è nato con un’intervista di Domenico. Sei anni fa, si parlava del no di Monti alla candidatura olimpica del 2020. Simone Valente, responsabile sport dei 5 Stelle, se la ricordava. Qualche settimana fa ha inviato a Fioravanti il programma «sportivo». «Leggendo ho capito che su molti punti ero d’accordo e che la loro visione dello sport e della politica era la mia». Così ha convocato il consiglio di famiglia con tanto di nuova arrivata, la piccola Diletta, quattro mesi. E ha deciso di tuffarsi. Debuttando a Torino. Ma perché a Torino per uno che vive a Brescia e lavora a Verona? «Perché è qui che ho vissuto la prima fase della mia vita a Novara e scegliere il Piemonte e Torino è stata in qualche modo una forma di ringraziamento». Curioso che nel suo debutto, uno abituato al primo posto abbia parlato di medaglie di legno e quarti posti. «Ma prima di vincere, io ho perso tanto! Quando ho portato gli ori delle Olimpiadi, c’era tutto il Paese ad aspettarmi, però l’anno dopo, secondo ai Mondiali, rimasero solo pochi amici ad attendermi. La banda del Paese e il Sindaco non c’erano più. Vinci sei tutto, arrivi secondo non conti niente: è assurdo. Mi candido anche per questo, per tutto questo impegno, questa costanza, questa determinazione, che magari non porterà al primo posto ma è la bellezza dello sport. Non è brutto perdere, è normale».
IL VOTO DI MALAGO’ Alla presentazione, intanto, c’è Zdenek Zeman. Un saluto, poche parole, un in bocca al lupo. Si siedono vicino. Intanto il tecnico del Pescara dopo aver gettato il sasso non ritira la mano: «Sono qua perché ci credo. Sono qui per sbaglio, dovrei essere lì con voi. Ho insegnato anche io, in quattro scuole, solo una aveva la palestra». Zeman si concede anche un commento sulla conclusione dell’olimpiade di PyeongChang: «L’Italia ha vinto 10 medaglie, tante rispetto a prima, poche rispetto a paesi più piccoli che hanno vinto di più». Chissà che ne pensa Giovanni Malagò. Con il presidente del Coni, Fioravanti ha un rapporto speciale. «Ci siamo scambiati diversi sms nei giorni della candidatura». Ma ha ancora qualcosa a che fare con il circolo canottieri Aniene di cui Malagò è tuttora presidente onorario? «Sono dirigente non votante».
CONI E STATO Magari i due hanno cominciato a discutere del sistema che i 5 Stelle hanno indicato sul loro programma e che Domenico condivide totalmente prendendo la parola: «Al Coni la formazione olimpica, allo Stato la promozione dello sport». Solo più tardi, a pranzo, Fioravanti leggerà le dichiarazioni del presidente del Coni: «Bene, è un atleta, una persona giovane e pulita. Non posso che essere contento, se di sport si occupano uomini di sport è sicuramente una bella cosa». Parole che fanno piacere a Domenico. «Magari ci vota», si scherza nella tavolata di cui fanno parte anche Zeman e Di Battista. In serata, però, il presidente del Coni mette un po’ di pepe sulle parole del mattino: «La sua candidatura? Onestamente c’è una palese incoerenza rispetto al no alle Olimpiadi, o quantomeno un’inversione di marcia. Credo che lui sia una delle persone che in Italia più di tutti difende il mondo olimpico e l’organizzazione dei Giochi».
CAMPIONI E POLITICA Ma c’è una cosa che però dobbiamo chiedere alla medaglia d’oro-candidata. È stato lui a parlare di campione «strumentalizzato», messo lì per fare pubblicità e spendere un volto noto. Non è un rischio che corre pure lui? «Ma certo che ci penso, sento la paura di essere avvicinato solo per questo. Spero che ci sia altro, spero di poter essere portatore di alcuni valori. Voglio andare oltre, voglio guardare con fiducia alle persone. Quando Di Maio mi ha chiamato, ho sentito passione. È stato importante anche parlare con i miei amici, quelli che votano tutt’altro, di idee politiche differenti, ma che già sanno l’impegno e la volontà che ci metterò».
BAMBINI Intanto Simone Valente illustra il programma: i soldi che «non arrivano all’attività di base», «più indipendenza nei controlli antidoping», «tre ore di educazione fisica alla settimana nelle scuole primarie». E qui c’è il chiodo fisso di Fioravanti: portare i laureati in scienze motorie fra i bambini di 6, 7, 10 anni, a scuola. «Il laureato in scienze motorie deve essere la figura cardine del sistema». C’è pure una promessa: «Se diventerò Ministro non andrò a tagliare nastri, ma girerò per le palestre e le piscine per provare a risolvere dei problemi». Ecco il momento dei selfie. Lui va, viene, firma, ascolta, risponde. Magari pensa ai tempi in cui l’avversario da battere si chiamava Rummolo e non Pd o Forza Italia. O forse no, Sydney adesso è davvero lontana, lontanissima. «Un onore essere stato scelto». Emozionato? «Sì. E magari anche un po’ spaventato».