La Stampa, 1 marzo 2018
La sfida di Teheran a Israele. Base missilistica a Damasco
I pasdaran costruiscono una nuova base missilistica vicino a Damasco e sfidano ancora una volta Israele, mentre nella periferia della capitale siriana infuria la battaglia della Ghouta, con il bilancio delle vittime che in dieci giorni è salito a 600. Bashar al-Assad e Vladimir Putin vogliono finire la «guerra civile interna», schiacciare le ultime sacche ribelli, per prepararsi alla prossima fase, che vedrà le potenze regionali e mondiali duellare direttamente. Le nuove installazioni sono state scoperte da un satellite israeliano a 13 chilometri a Nord-Ovest di Damasco. Mostrano depositi con missili in grado di colpire Israele, gestiti dall’unità d’élite dei pasdaran, Al-Quds.
L’aviazione israeliana ha distrutto due di queste installazioni alla fine dell’anno scorso. Il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, sembra però escludere un raid immediato e ha spiegato che lo Stato ebraico «agirà a livello internazionale per ottenere tutto quello che è possibile». Può essere una «finta» per poi scatenare la rappresaglia, o può essere il primo indizio verso una nuova strategia, tratteggiata dal premier Benjamin Netanyahu alla Conferenza di Monaco: «Agiremo se necessario non soltanto contro gli alleati dell’Iran ma contro l’Iran stesso», aveva detto con in mano un pezzo di un drone iraniano abbattuto, mentre dietro le quinte la diplomazia americana premeva sugli europei per un’azione più incisiva sulla Repubblica islamica.
Il segretario di Stato Rex Tillerson punta, con l’aiuto alleato, a ottenere il miglioramento del trattato sul nucleare, con lo stop ai test missilistici, l’accesso degli ispettori Onu ovunque, e l’allungamento a tempo indeterminato del divieto di fare l’arricchimento. Finora però le pressioni internazionali non hanno fermato Teheran in Siria. La scorsa settimana il «New York Times» ha pubblicato una mappa con decine di basi dove operano i pasdaran, compresa la T4, vicino a Palmira, da dove è partito il drone che è penetrato nella spazio aereo israeliano. La stessa base è stata subito dopo presa di mira da un raid e quell’azione, il 10 febbraio, ha scatenato una battaglia aerea, con un F16 israeliano abbattuto. Da allora Israele ha evitato nuovi raid e i russi hanno rafforzato ancora il loro dispositivo di difesa con l’invio dei cacciabombardieri invisibili Su-57, la risposta russa agli F-22 Usa.
Gli schieramenti si studiano, in vista di quella che potrebbe essere una resa dei conti dopo la battaglia della Ghouta, quando si vedrà se Mosca è disposta ad appoggiare Assad nella sua volontà di «riconquistare ogni centimetro quadrato di territorio», di riprendere il controllo delle frontiere a Nord, dove ci sono truppe turche e americane, e a Sud, verso il Golan. Il confronto con lo Stato ebraico diventerà incandescente. Nell’enclave ribelle le cinque ore di tregua mattutine hanno permesso, secondo Mosca, l’evacuazione di un primo gruppo di civili. Ma raid aerei e colpi di artiglieria sono continuati, in appoggio all’avanzata sempre più rapida delle truppe governative. Ad Harasta, l’ingresso occidentale della Ghouta, vicino al centro di Damasco, la Quarta divisione meccanizzata ha conquistato due quartieri; sul lato opposto le Qawet al-Nimir, le «Tigri», hanno preso le cittadine di Hawsh al-Dawahirah e Al-Shifouniyah. Il bilancio delle vittime, dal 18 febbraio, è salito a 600 morti. Assad andrà avanti nella riconquista della Ghouta, lo ha ribadito Putin: «Non tollereremo all’infinito i bombardamenti dei ribelli dalle zone sotto loro controllo», ha spiegato: «In certi giorni arrivano 80 colpi di razzi e di mortaio e colpiscono perfino l’ambasciata russa».