Corriere della Sera, 1 marzo 2018
Leclerc, gioiellino Ferrari. «Ho deciso a 4 anni che avrei fatto il pilota»
BARCELLONA Vent’anni e lo sguardo da veterano, Charles Leclerc è il gioiellino del vivaio Ferrari: nato nel Principato di Monaco, ha studiato all’Academy di Maranello e l’Italia ce l’ha nel cuore. Anche la fidanzata è di origini napoletane. Di lui si parla come il nuovo Verstappen: ha vinto il Mondiale di Formula 2 al debutto, in un test con la Ferrari ha girato più veloce di Sebastian Vettel. Fu lo sfortunato Jules Bianchi a segnalarlo al Cavallino quando era un ragazzino, ora Charles guida l’Alfa-Sauber. E se farà bene potrebbe essere lui nel 2019 il sostituto di Kimi Raikkonen sulla Rossa. Ma il cammino in F1 è appena cominciato.
Ha debuttato nelle peggiori condizioni possibili, fra neve e gelo, ma sembra contento. Possibile?
«Sì, perché sono felicissimo di essere arrivato in F1. Il mio sogno è diventato realtà».
Ora però iniziano esami durissimi, quali obiettivi si è dato al primo anno?
«Studiare e imparare in fretta: la macchina, il lavoro con gli ingegneri, qui è tutto diverso».
Che cosa cambia?
«Per esempio, quando sei in un meeting devi sapere sempre a chi fare la domanda giusta. Sembra scontato ma vi assicuro che non lo è. La conoscenza consente di guadagnare tempo durante i week end di gara».
Nato e cresciuto a Montecarlo con il Gp nel salotto. Chissà quanti ricordi…
«Tanti, a quattro anni ero da un amico che aveva un appartamento proprio dopo la prima curva. Noi giocavamo con le macchinine in balcone, sotto sfrecciavano quelle di F1. Eravamo bambini felici».
Chi era il suo idolo?
«Mio padre era una pilota (di Formula 3, ndr ) e non si perdeva un Gp. Io seguivo sempre quella macchina rossa di cui mi ero innamorato da subito. Mi piaceva Kimi (Raikkonen, ndr ), ma soprattutto la Ferrari. A prescindere da chi c’era su».
E poi in Ferrari lei è arrivato davvero facendo tutta la gavetta. Che cosa prova adesso?
«Orgoglio. L’Academy è stata utilissima per la mia carriera. Lì impari ad allenare il fisico e la mente, ti eserciti con il simulatore. Ti insegnano a dare feedback alle vetture, dettagli a cui un pilota di solito non pensa».
Perché le gare si vincono anche usando con la testa. Dicono che lei sia bravissimo nella gestione: è un dono naturale o allena anche il cervello?
«No, niente doni naturali. Conta il lavoro: a 11 anni già ero concentrato sull’aspetto mentale con Formula Medicine, poi ho proseguito nell’Academy. Nel motorsport la cosa più importante è avere la testa a posto. Credo che sia una delle mie forze, prima era il punto debole».
Quando ha capito che voleva fare il pilota?
«Subito. A quattro anni dopo un giro sui kart. Tornando dalla pista l’ho detto a papà. Ma solo alla fine del 2011 ho capito che il sogno sarebbe potuto diventare realtà quando Nicolas (Todt, il manager: è il figlio del presidente della Fia, ndr ) mi ha preso. Perché mio padre non aveva più soldi per finanziare la mia carriera».
Hamilton, Vettel o Verstappen? Chi sono i suoi riferimenti?
«Nessuno, anche se rispetto tutti. Voglio solo concentrarmi su me stesso e lavorare sulle mie debolezze. Non potrei mai essere un nuovo Hamilton o un nuovo qualcun altro. Voglio essere Charles Leclerc nella migliore versione possibile».
Oltre a correre in macchina che cosa fa?
«Adoro il tennis. Da tre settimane sto provando il padel e mi piace tantissimo. E poi nuoto e gioco a golf».
Ha studiato la storia dell’Alfa Romeo?
«Sì, mi sto impegnando. È incredibile quanto sia amata: non pensavo avesse così tanti tifosi nel mondo. Mi fermano per strada e mi dicono: “Forza Charles, forza Alfa”».
Si sente un po’ italiano?
«Sì, certo. Sono cresciuto in Italia. Le migliori piste di kart, i migliori team sono da voi. Ho trascorso l’80 per cento dell’adolescenza nel vostro Paese».
Il primo sogno si è avverato. Il secondo qual è?
«Vincere il Mondiale, con la Ferrari».