la Repubblica, 1 marzo 2018
La frenata dell’inflazione rafforza la linea di Draghi
MILANO L’inflazione in Europa a febbraio sale lenta: +1,2%. In Italia, poi, sale così poco che frena: + 0,6%, da un + 0,9% a gennaio. Non sono certo sintomi di economia scoppiettante, anche se la fiacchezza era attesa, e risente di fatti congiunturali.
L’avvio del 2017 nel continente fu infatti all’insegna del maltempo, che aveva gonfiato in modo anomalo i prezzi degli alimentari non lavorati (carne, pesce, frutta e verdura). Il dato italiano, se è una buona notizia per il potere d’acquisto delle famiglie, lo è meno come spia dell’attività economica interna; inoltre rischia di non “alleggerire” abbastanza i 2.300 miliardi di euro di debito pubblico, né di agevolarne il calo in rapporto col Pil ( stimato dall’Ocse al 129,8% a fine anno, dal 131,6% del 2017).
Gli effetti dell’ondata di freddo in corso si vedranno invece solo verso metà anno, quando l’inflazione europea dovrebbe riassestarsi sull’ 1,5% tendenziale segnato nel novembre scorso. Poiché i mercati vivono alla giornata, ieri si è visto un abbrivio al recupero del dollaro, ai massimi da tre settimane fino alla diga di 1,22 contro l’euro. Il biglietto verde s’era già riacceso martedì, dopo la prima audizione al Congresso del neo presidente della Fed, Jerome Powell, che aveva fatto balenare la possibilità di un quarto rialzo di tassi Usa quest’anno ( tre sono scontati) facendo leva sulla marcia briosa della congiuntura.
Aveva invece captato bene le avvisaglie dei prezzi il presidente della Bce, Mario Draghi, quando lunedì davanti all’Europarlamento con pervicacia difendeva la politica di tassi negativi e di acquisto di titoli sovrani, per cullare una ripresa più esile nell’area euro: «Pazienza e persistenza nella politica monetaria sono tuttora necessarie per permettere all’inflazione di tornare ai livelli poco sotto il 2%», aveva detto il banchiere centrale, nel collegare un livello ottimale del carovita «crucialmente condizionato da un ampio grado di stimolo monetario fornito dalla serie completa di misure» della Bce. Con i chiari di luna di febbraio, che Confcommercio chiama «nuova fase di debolezza dei consumi», il leader della Bce avrà buoni argomenti l’8 marzo, al consiglio direttivo dell’Eurotower, per lasciare inalterata la leva monetaria.
La rimonta del dollaro, dopo che la valuta unica s’era spinta al picco triennale di 1,25 un mese fa, pare dovuta al minor scetticismo dei mercati intorno agli annunci in chiave restrittiva sui tassi di Washington; che ora sono presi sul serio. Di qua dell’Atlantico, la bonaccia persiste: «Non ci aspettiamo modifiche di rilievo alla comunicazione la prossima settimana – ha scritto dopo i dati sui prezzi Anna Maria Grimaldi, economista di Intesa Sanpaolo –. Ma è assai probabile che la Bce vorrà preparare i mercati a possibili aggiustamenti di linea sugli acquisti» di titoli governativi. Magari Francoforte potrebbe eliminare il riferimento a un aumento dei volumi dell’intervento, da gennaio dimezzato a 30 miliardi di euro mensili e in agenda fino a settembre.