La Stampa, 1 marzo 2018
I rischi delle ricette economiche
Nel mio ultimo articolo su questo giornale avevo notato che i programm
i elettorali dei vari partiti sono spesso vaghi e pieni di incoerenze. Ciononostante, è possibile individuare differenze di visione economica in tali programmi. Vediamo quali sono queste differenze focalizzandoci, in particolare, sugli obiettivi di finanza pubblica.
In un articolo pubblicato su questo giornale il 19 dicembre, avevo invitato i partiti a chiarire tali obiettivi (deficit, avanzo primario, debito pubblico) anno per anno per il prossimo quinquennio. Quattro partiti hanno risposto: in ordine temporale, Più Europa, Forza Italia, Lega e Liberi e Uguali. Il Pd non ha risposto ma ha comunque pubblicato un piano di rientro dal debito che contiene informazioni utili per valutare come questo partito gestirebbe i conti pubblici nei prossimi anni.
Il Movimento 5 Stelle ha inizialmente indicato che avrebbe risposto ma alla fine non è arrivato nulla, se non la conferma dell’obiettivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil di 40 punti percentuali in dieci anni. Fratelli d’Italia non ha risposto.
I quadri di finanza pubblica pubblicati hanno elementi in comune. Tutti prevedono una riduzione del debito pubblico rispetto al Pil. In tutti i quadri questa riduzione è facilitata, ottimisticamente, da un aumento dell’inflazione (più inflazione vuol dire più Pil): sono anni che attendiamo una ripresa dell’inflazione. Tutti i quadri sottostimano la dinamica del debito: i partiti si sono dimenticati che, nei prossimi anni, il debito dovrebbe crescere più rapidamente di quanto giustificato dal deficit pubblico (e da eventuali flussi di privatizzazioni) per una serie di motivi (per esempio il deficit non include le spese per i contratti derivati). Non è un dettaglio da poco: nei prossimi tre anni questa discrepanza equivale a 55 miliardi (tre per cento del Pil).
Ma ci sono anche importanti differenze, soprattutto per quanto riguarda l’orientamento, più o meno espansivo, della finanza pubblica. A un estremo c’è la Lega che sottoscrive in pieno la tesi per cui occorre prendere a prestito più soldi per ridurre il debito (rispetto al Pil). L’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi sul debito, il principale indicatore dell’orientamento più o meno espansivo della politica fiscale), stimato all’1,7 per cento del Pil nel 2017, verrebbe quasi azzerato nel giro di due anni e resterebbe basso negli anni seguenti. Le regole europee verrebbero violate in modo palese (con un deficit al di sopra del 3 per cento). Questo, secondo la Lega, farebbe ripartire l’economia e il rapporto tra debito e Pil scenderebbe. Anche prendendo per buona questa previsione, il debito scenderebbe meno che nei quadri presentati dagli altri partiti (11 punti percentuali di Pil). All’estremo opposto, c’è Più Europa che propone di aumentare l’avanzo primario al 5,2 per cento del Pil entro il 2022, in pieno rispetto delle regole europee e con un calo del debito di ben 23 punti percentuali. Gli altri stanno tra questi due estremi. Più vicino al rispetto delle regole europee, è il quadro di Forza Italia, con un avanzo primario che arriva al 4 per cento, nel contesto però di un tasso di crescita del Pil molto più elevato di quello di più Europa (un bel 2 per cento contro un prudente 1 per cento): insomma, si arriva a risultati non troppo distanti da quelli di Più Europa, ma sperando che la maggiore crescita faccia aumentare le entrate pubbliche. Non troppo distante sta Liberi e Uguali con un avanzo primario del 3,6 per cento nel 2022. Qui però l’aiutino del Pil è ancora più forte: si raggiunge una crescita di quasi il 2 e mezzo per cento al 2022. Quel che propone il Pd è invece lo status quo: l’avanzo primario resterebbe fermo al 2 per cento per i prossimi cinque anni (anzi per i prossimi dieci), come è rimasto fermo su questi livelli nei passati cinque anni. Il debito scenderebbe di 13 punti percentuali nel quinquennio essenzialmente perché l’inflazione farebbe accelerare il Pil. E il Movimento5 Stelle? Come ho detto, non hanno inviato un quadro completo di obiettivi, ma hanno espresso in varie sedi l’intenzione di aumentare il deficit e quindi di ridurre l’avanzo primario rispetto ai livelli correnti. Questo sarebbe compatibile con una riduzione del debito di 40 punti percentuali di Pil in 10 anni, il loro obiettivo, solo se il Pil crescesse di almeno 5 punti percentuali all’anno in termini reali, ritmi quasi cinesi.
Queste differenze non sono irrilevanti anche perché hanno diverse implicazioni per il dialogo con l’Europa. Un conto è presentarsi agli elettori con obiettivi in linea con le regole europee, come fa Più Europa (lo farebbe anche Forza Italia salvo che le generose promesse elettorali di questo partito, senza adeguate coperture, non sembrano coerenti con gli obiettivi di avanzo primario). Un altro conto è presentarsi con obiettivi che sfidano palesemente le regole europee, come la Lega, o che comunque non sono in regola con queste, come fanno tutti gli altri. Si dirà che l’elettore medio non si legge le tabelle con l’avanzo primario. Ma i sopra citati numeri sono del tutto in linea con la retorica seguita negli ultimi anni dai vari partiti nei dibattiti sull’austerità e sul rispetto delle regole europee. Essi riflettono diverse visioni del modo in cui funziona l’economia e delle priorità e dei rischi che la nostra economia fronteggia. Sta all’elettore scegliere quale visione preferire.