La Stampa, 1 marzo 2018
Gli affari d’oro delle ’ndrine nell’Est Europa post comunista
«La ’ndrangheta è invisibile, come l’altra faccia della luna», ebbe a dire un magistrato americano che negli anni Ottanta indagava su una famiglia criminale calabrese.
Operando per molti anni in un cono d’ombra, l’organizzazione nata in Calabria nell’Ottocento è oggi presente in tutti i continenti e, se crediamo ad un rapporto dell’istituto di ricerca Demoskopica, fattura 53 miliardi di euro l’anno. Gli investigatori hanno contato circa 400 cosche sparse per il mondo, con migliaia di affiliati. Quali sono le ragioni di questo successo planetario, ben superiore di quello della mafia siciliana e della camorra napoletana?
Le ragioni del successo
La ’ndrangheta ha una struttura organizzativa flessibile, in grado di coordinare le famiglie, e allo stesso tempo di assicurare loro ampia autonomia. La ’ndrina («famiglia») di San Luca, un piccolo paese alle falde del massiccio dell’Aspromonte, è considerata la depositaria della tradizione dell’organizzazione e ogni gruppo deve ottenere il beneplacito da San Luca per poter operare. Ma non tutte le decisioni vengono prese a San Luca: almeno a partire dagli Anni Cinquanta esistono organi di raccordo territoriali, attivi sia in Calabria che nel resto del mondo. Ad esempio, la Lombardia è la camera di compensazione dei sedici gruppi che operano in quella regione italiana. Organi simili esistono per il Piemonte, la Liguria, il Canada, la Germania e l’Australia. La camorra non è mai riuscita a creare organi di raccordo, e quindi i conflitti vengono spesso risolti con il ricorso alle armi. In ogni caso, non esiste un’entità unitaria o un rito condiviso tra i gruppi criminali che operano nel Napoletano.
La famiglia di sangue
Una seconda ragione del successo dei calabresi dipende dal fatto che ogni «famiglia» criminale coincide con la famiglia di sangue: il boss è anche parente della maggior parte degli affiliati, a differenza di quanto accade nel caso di Cosa Nostra. Ne segue che il numero di pentiti di ’ndrangheta è nettamente inferiore a quello della mafia siciliana, che invece non recluta sulla base dei legami di sangue. Rivolgersi alle forze dell’ordine per un mafioso calabrese significa denunciare non solo i propri complici, ma anche padre, fratelli, suoceri, generi e cugini. Uno studio pubblicato nel 2011 ha stimato che i pentiti di Cosa nostra erano circa il 7% dei membri dell’organizzazione, mentre nel caso della ’ndrangheta non andavano oltre il 2.6%.
Con i narcos
La terza ragione del successo è stata l’abilità di entrare di prepotenza nel mercato della droga, forgiando solidi rapporti con trafficanti in Colombia e in Messico. Cosa nostra, che negli Ottanta era al centro del traffico di eroina proveniente dall’Oriente, ha perso questo vantaggio storico. La scelta strategica di Toto Riina di imporre la propria leadership su tutte le famiglie (e quindi di eliminare i rivali) e poi di lanciare un attacco frontale allo Stato italiano ha reso l’organizzazione debole e ha prodotto una dura reazione da parte delle autorità, che sono riuscite ad arrestare la maggior parte dei boss. Gestire complessi rapporti transnazionali richiede un margine di manovra che viene meno quando l’organizzazione è impegnata in faide intestine e in una lotta senza esclusioni di colpi con lo Stato. Al contrario, la ’ndrangheta ha preferito fare affari in sordina, evitando gli omicidi eccellenti. Va aggiunto che il porto di Gioia Tauro permette l’attracco dei grandi containers proveniente dall’America del Sud, mentre quello di Palermo non è così moderno. Il boss calabrese Piromalli, che volle quel porto, ebbe un’intuizione fondamentale per l’organizzazione.
Il crollo del muro
Infine, esponenti della ’ndrangheta sono stati tra i primi a capire le opportunità offerte dal crollo del muro di Berlino. Sin dagli Anni Novanta hanno investito e riciclato denaro in Est Europa. Non stupisce che oggi siano presenti nei Paesi dell’ex Jugoslavia.
In questo secolo vi sono state importanti indagini condotte dalle procure di Reggio Calabria, Catanzaro, Milano e Torino, che hanno ricostruito traffici internazionali e ramificazioni nel Nord d’Italia. L’organizzazione non è più invisibile. Eppure ogni soluzione di lungo periodo deve essere politica e sociale: lo Stato italiano deve recuperare un’autorità oggi perduta sul territorio di quella regione per sconfiggere le ramificazioni internazionali di questa mafia di successo.