Avvenire, 1 marzo 2018
La fuga dorata di Embraco dall’Italia è iniziata nel 2004
L’affare Embraco è già costato all’Italia svariate decine di milioni di euro e nasconde una promessa mancata. Mentre la società pare abbia formato nel nostro Paese tecnici che sono stati poi impiegati per aprire stabilimenti in giro per il mondo. E non basta, perché a leggere bene le carte, l’intenzione dell’azienda di chiudere in Italia e di aprire all’estero, emerge già chiaramente nel passato. Insieme ad una sorta di ricatto rivolto al nostro Paese: manteniamo l’occupazione solo a certe condizioni.
Tutto inizia alla fine del 2004, quando l’azienda decide di licenziare in un solo colpo 812 persone dello stabilimento di Riva di Chieri ( Torino), quello che in Italia produce compressori per frigoriferi. Già allora, come oggi, scatta il lavoro delle Istituzioni locali e nazionali, oltre che naturalmente la mobilitazione dei sindacati. Viene firmato un accordo alle fine del 2005 che prevede la reindustrializzazione di una parte dell’area e il reimpiego dei lavoratori. L’impegno di spesa fra Regione Piemonte e Ministero delle attività produttive, arriva a 17 milioni e 800mila euro. La finanziaria regionale acquista anche l’area dello stabili- mento (che tutt’oggi è quindi di proprietà pubblica). A più riprese viene fatto largo uso della cassa integrazione.
L’occupazione all’Embraco viene salvata seppur ridotta di dimensioni: nel 2011 i lavoratori sono 616 nel 2014 diventano 593. È in quell’anno che l’azienda torna alla carica. Riemergono le difficoltà produttive dovute al mercato e alle piattaforme tecnologiche adottate nello stabilimento piemontese. Ma c’è la possibilità di rilanciare la produzione con nuovi investimenti tecnologici che la Embraco dichiara di essere disposta a fare solo con un nuovo sostegno delle Istituzioni.
Il 14 aprile 2014 viene quindi firmato un altro accordo fra l’azienda e la Giunta Cota, di centro-destra. L’azienda si impegna a fare investimenti per 15 milioni di euro per attivare a Riva di Chieri una nuova piattaforma tecnologica di produzione. La Regione Piemonte si impegna «ad attivare tutti gli strumenti previsti (…) per favorire la formazione dei lavoratori» e, soprattutto, si impegna «a sostegno del progetto d’investimento iniziale presentato da parte di Embraco Europe srl, ad attivare idonei strumenti di agevolazione». Che, tradotto in pratica, significa mettere sul piatto due milioni di euro necessari per rendere possibile l’ammodernamento dello stabilimento. Con un meccanismo particolare. Embraco, infatti, ha presentato un progetto di investimento che potrebbe essere finanziato con risorse dal Fondo di reindustrializzazione della Regione Piemonte, che però non ha soldi sufficienti per finanziarie tutte le domande in graduatoria e arrivare a quella di Embraco. La soluzione, sancita dall’accordo, è quella di spostare tre milioni e 650mila euro dalla voce ’Contratti di insediamento’ a quella ’Fondo di reindustrializzazione’. Operazione del tutto legittima, che viene appunto decisa e sancita dall’accordo.
I tempi fra l’altro sono strettissimi. L’accordo con l’azienda viene firmato il 14 aprile (e deliberato in Giunta il 17 dello stesso mese), perché «il CdA del Gruppo – si legge nel testo dell’intesa –, deciderà entro il 22 aprile se assegnare allo stabilimento italiano la realizzazione della nuova linea produttiva o allo stabilimento Embraco localizzato in Cina, il quale oltre vantare dei fattori produttivi low cost può anche contare su una serie di aiuti da parte delle Autorità locali non previsti attualmente in Italia». Insomma, o l’Italia apre i cordoni della borsa, oppure la Cina è già pronta.
Ma l’accordo si fa. A sorvegliare tutto viene demandato un «apposito tavolo tecnico» che, però, non viene mai costituito e convocato. Il motivo è semplice: pochi mesi dopo (a giugno), le elezioni amministrative cambiano gli inquilini della Regione Piemonte. Tutti si dimenticano le 11 pagine dell’intesa. Intanto, l’azienda non pare abbia effettuato investimenti sufficienti al rinnovo dello stabilimento. Le risorse spostate sul Fondo non vengono utilizzate da Embraco, ma rimangono comunque impegnate. Mentre gli operai formati qui per anni sono stati inviati negli altri stabilimenti nel mondo – ad iniziare dalla Slovacchia –, per istruire i loro colleghi.