Avvenire, 1 marzo 2018
Il nuovo incubo nucleare, la storia fa un passo indietro alla Guerra fredda
Illustrando a Praga i progetti militari degli Stati Uniti, Barack Obama nel 2009 annunciò l’intenzione di ridurre sensibilmente gli arsenali nucleari di Washington. «Guideremo il mondo verso una pace senza armi nucleari», disse l’allora neo-presidente, precisando però che, fino al raggiungimento di quell’obiettivo, gli Usa avrebbero conservato i loro armamenti. A meno di dieci anni di distanza, la prospettiva evocata da Obama – su cui è tornato anche il Papa nel discorso alle Nazioni Unite del marzo 2017 – sembra essere piuttosto lontana. Anzi, dopo i test messi in atto dalla Corea del Nord, l’incubo di un conflitto nucleare è tornato ad aleggiare sulla politica mondiale, come non accadeva dalla stagione più cupa della Guerra fredda. E non è certo casuale che il Nobel per la Pace sia stato assegnato nel 2017 proprio alla coalizione di organizzazioni non governative Ican che ha come obiettivo la messa al bando degli ordigni nucleari. Ma la possibilità di un conflitto atomico è davvero credibile? Dobbiamo realmente preoccuparci delle minacce di Pyongyang? E il programma nucleare iraniano costituisce potenzialmente un rischio? Naturalmente non è facile rispondere a queste domande, ma un contributo utile per accostarsi a questa serie di interrogativi è offerto dal volume di Jack Caravelli e Jordan Foresi, La minaccia nucleare. La crisi coreana, i problemi di controllo degli arsenali, il rischio terrorismo (Nutrimenti, pagine 185, euro 16,00).
Grazie alla conoscenza del tema di Caravelli, per oltre trent’anni analista della Cia e impegnato in diversi programmi per la non proliferazione, il volume fornisce un quadro della situazione e dei prossimi possibili sviluppi. Innanzitutto viene chiarita la mappa del “club nucleare”, che comprende oggi nove membri: Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Più del 90% delle armi atomiche appartiene a Washington e Mosca. E circa settanta di questi ordigni sono collocati in Italia (tra le basi di Ghedi e di Aviano). Il crollo dell’Urss e la fine dello scontro bipolare non hanno dunque modificato sostanzialmente la situazione precedente. Ma certo il mutamento degli equilibri potrebbe incidere anche su questo aspetto. E la capacità di tenere sotto controllo la proliferazione nucleare potrebbe essere messa in crisi da parte del nuovo quadro geopolitico.
La sfida della Corea del Nord e le rivendicazioni iraniane potrebbero essere già un annuncio del nuovo scenario. In realtà da questo punto di vista l’opinione di Caravelli e Foresi è piuttosto cauta. Anche se le minacce di Pyongyang creano più di qualche difficoltà a Pechino, la caduta del regime nord-coreano riaprirebbe una serie di questioni capaci di destabilizzare l’intera area. È dunque probabile che il risultato sia, almeno per ora, la conservazione dello status quo.
Ma in questo modo le tensioni non verrebbero meno. La situazione iraniana potrebbe invece essere aggravata soprattutto dall’atteggiamento adottato dall’amministrazione Trump, perché il “decisionismo” americano potrebbe – per questioni formali, più che sostanziali – isolare la posizione di Washington. Una questione cruciale è legata all’ipotesi di sviluppare «piccole armi nucleari», da utilizzare come armi tattiche sul campo di battaglia. Una soluzione di questo tipo modificherebbe completamente la logica degli attori. L’equilibrio della Guerra fredda si fondava sulla convinzione che il ricorso alle armi atomiche avrebbe comportato la reciproca distruzione dei contendenti. Per questo nessuno avrebbe attaccato “per primo”. Ma l’introduzione di armi nucleari “tattiche” potrebbe cambiare drasticamente la logica. E creare situazioni di tensione davvero difficili da gestire.