Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri parecchi siti internet titolavano ottimisticamente: «Grecia, sì di Berlino agli aiuti», e intanto le Borse continuavano ad andar giù (tranne, misteriosamente, quella di Atene), l’euro scendeva a 1,31 contro il dollaro, i differenziali tra bond greci e tedeschi schizzavano oltre quota mille e Standard & Poor’s incupiva ulteriormente il panorama mediterraneo declassando anche il debito spagnolo da AA+ ad AA, con outlook negativo, il che significa che nei prossimi giorni la Spagna sarà ulteriormente retrocessa.
• Non crede che gli aiuti alla Grecia arriveranno prima del fatidico 19 maggio?
Sono ottimisti quei titoli dei siti. Ieri il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, e il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, erano a Berlino a sgolarsi per persuadere la Merkel a far qualcosa prima delle elezioni del 9 maggio. Hanno ottenuto sostanzialmente questo: Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, prepareranno un disegno di legge entro lunedì prossimo e lo presenteranno al Bundestag, il Parlamento federale. Faranno di tutto perché il Parlamento federale lo approvi entro venerdì 7 maggio. Ma non possono giurare né sul sì del Parlamento né sui tempi. I sondaggi per il voto in Nordreno-Westfalia non sono buoni, il 57% dei tedeschi almeno non vuol sentir parlare di soldi ai greci, quegli 8,3 miliardi che spettano a Berlino sarebbero tolti a un pacchetto di sgravi fiscali. dura spiegare al popolo che far saltare per aria la Grecia può costare più che aiutarla. Se la Grecia, il 19 maggio, non restituisse gli 8-9 miliardi in bond che deve ai suoi creditori, salirebbero i tassi d’interesse su tutti i titoli l’Eurozona, compresi i titoli tedeschi. Bisogna capire che la crisi greca è prima di tutto una crisi dell’euro.
• Però anche lei, ieri, ha detto che i greci non saranno in grado di restituire i soldi del prestito! Lo ha detto lei: dopo un anno o due i greci non ce la faranno più e chiederanno la «ristrutturazione». E allora?
Non l’ho detto io, ma una quantità di analisti che mi sono permesso di citare. E del resto questa è, fino ad oggi, l’opinione dei mercati, fondata sulle caratteristiche degli aiuti (45 miliardi per un anno al 5%) e sull’analisi delle possibilità reali di quel paese. Senonché gli esperti del Fmi sono adesso ad Atene a discutere le condizioni di questo sussidio e quello che sta venendo fuori è questo: sabato sapremo che si metteranno sul tavolo per la Grecia non 45, ma 80 o forse 100 (vogliamo dire 120?) miliardi, con un piano di rientro non triennale ma probabilmente quinquennale e con un tasso d’interesse meno proibitivo…
• Ha senso un tasso d’interesse più basso del 5%? Ieri ho sentito in televisione che il tasso sui bond greci decennali ha toccato il 13,1 per cento!
Parliamoci chiaro: i paesi che prestano i soldi (tra cui l’Italia, per cinque miliardi e mezzo), li vanno a raccogliere a loro volta sul mercato. All’1 o al 2 per cento. Rigirandoli alla Grecia al 4 o al 5 ci guadagnano. Poco, ma ci guadagnano. Bisogna naturalmente che la Grecia non faccia la fine dell’Argentina e restituisca tutto. Per questo mi pare sensata l’idea di mettere sul tavolo una somma più importante, a un tasso più contenuto e con rate più diluite. In questo momento si deve guadagnare tempo. Spento l’incendio greco, ci sarà modo anche di costruire una procedura di salvataggio che assurdamente a Maastricht non è stata pensata.
• Ma le condizioni della Grecia quali sono? Glielo chiedo avendo un retropensiero piuttosto agghiacciante, e cioè che noi, alla fin fine, non siamo troppo diversi da loro.
I punti di contatto sono il forte indebitamento dello Stato (260-280 miliardi, cioè 25 mila euro a testa), il forte tasso di corruzione in tutti i settori della pubblica amministrazione, l’importante quota di evasione fiscale, a cui in questi giorni si aggiunge una fuga di capitali all’estero sotto forma di acquisti di case, soprattutto sulla piazza di Londra. Sarebbero scappati finora una quindicina di miliardi.
• C’è qualche differenza?
Beh, noi abbiamo una struttura industriale che il resto d’Europa se la sogna. E le nostre famiglie sono poco indebitate, fatto di cui solo oggi gli analisti capiscono il valore. Lloro hanno esagerato con le assunzioni degli statali e con le pensioni. Il 40% del loro Pil è determinato dal settore pubblico. Fino all’anno scorso un’insegnante con 27 anni di servizio e un figlio piccolo riusciva a smettere di lavorare a 52 anni. Il Fmi chiede di tagliare stipendi pubblici e pensioni. Le tredicesime e le quattordicesime degli statali sono già state abolite. Per calibrare bene gli aiuti, però, l’Unione europea e il Fondo monetario dovranno tener conto dell’aspetto sociale del problema. Non sono passati molti mesi da quando il centro di Atene è stato devastato dai rappresentanti della “generazione 700 euro”, givoani furibondi decisi a spaccare tutto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/4/2010]
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