Irene Greguoli Venini, ItaliaOggi 29/4/2010, 29 aprile 2010
MARCHI, GOOGLE PRIMO AL MONDO
Sono tecnologici, innovativi e in grado di offrire esperienze di marca uniche i brand più forti al mondo: a guidare la classifica Brandz Top 100 di Millward Brown Optimor, società di consulenza di marketing del gruppo WPP, è infatti ancora Google, in testa per il quarto anno consecutivo in base alle performance finanziarie e alla valutazione dei consumatori, con un valore di marca di circa 114,3 miliardi di dollari (86,6 miliardi di euro), in crescita del 14%. Segue Ibm con 86,4 miliardi di dollari (65,5 miliardi di euro) e un incremento del 30%, che prende il posto di Microsoft, quarta con 76,3 miliardi di dollari (57,8 miliardi di euro). Il terzo gradino del podio è occupato da Apple che, con un valore di 83,2 miliardi di dollari (63 miliardi di euro,+32%), si sostituisce a Coca Cola, ora quinta con 67,9 miliardi di dollari (51,4 miliardi di euro). Escono invece dalla graduatoria, Ikea, Nivea, Yahoo! e Canon. A rappresentare l’Italia si conferma la moda con Gucci, con un valore di quasi 7,6 miliardi di dollari (5,7 miliardi di euro) al novantasettesimo posto, e le telecomunicazioni con Tim, con un valore di marca di circa 7,3 miliardi di dollari (5,5 miliardi di euro), al centesimo posto.
«Anche nel 2010 i marchi tecnologici, con una crescita del 6% a livello di categoria, sono i protagonisti assoluti della Brandz Top 100. Un successo che si può attribuire non solo alla forte componente innovativa mutuata dalle peculiarità intrinseche del mercato a cui questi brand appartengono, ma anche e soprattutto alla capacità di offrire nuove esperienze di consumo e di utilizzo che vanno a identificare quell’universo di valori che gli utenti sposano all’atto dell’acquisto», dice Luca Belloni, amministratore delegato della sede italiana di Millward Brown. «Non è un caso, infatti, che Apple, forse uno dei marchi che meglio sono riusciti a esplicitare una brand experience definita e riconoscibile, non abbia conosciuto crisi e anzi abbia visto crescere il proprio valore di marca».
Non sorprende quindi che siano Apple e Ibm a detenere anche il primato della crescita assoluta più significativa, con un incremento del valore di marca rispettivamente di circa 20 e 19,8 miliardi di dollari (15,1 e 15 miliardi di euro circa).
E a dimostrare che per le aziende «disporre di un brand forte rappresenta uno strumento insostituibile per garantire stabilità di lungo periodo», c’è il fatto che nel 2010 il valore aggregato dei 100 brand presenti nella classifica, realizzata in collaborazione con il Financial Times, pari a oltre 2 mila miliardi di dollari (1.516,6 miliardi di euro circa), è cresciuto del 4% rispetto all’anno passato e del 40% in confronto al 2006.
Investire nei brand è la chiave della capacità di ripresa delle imprese anche secondo Joanna Seddon, ceo di Millward Brown Optimor. «In passato e specialmente in tempi di crisi, molte aziende hanno deciso di ricorrere a una riduzione dei budget destinati al marketing. Un nuovo trend è invece emerso sulla scia della recessione poiché un numero crescente di aziende, nel far fronte a una congiuntura delicata, hanno compreso l’importanza di mantenere o addirittura incrementare i budget a supporto delle attività legate al brand», sottolinea. Esempi di aziende che hanno saputo far leva sul proprio marchio per far fronte alla crisi sono Samsung, new entry nella classifica e prima per trend positivo con l’80% di crescita dal punto di vista del valore del brand, e Starbucks, che ha visto un aumento del 17%.
Se la classifica è guidata da brand statunitensi, i mercati emergenti non restano indietro. Per il primo anno infatti tutti i paesi del cosiddetto «Bric», Brasile, Russia, India, Cina, sono rappresentati tra i Top 100 da almeno un’azienda: per esempio è entrato nella graduatoria, al quarantacinquesimo posto, il brand indiano Icici (banche).
«La forte ascesa dei marchi dei paesi del BRIC suggerisce la possibilità di un futuro inasprimento della competizione globale tra le marche», commenta Belloni. «Una sfida che vedrà vincere le aziende in grado di differenziarsi non solo sul piano dell’offerta tangibile ma anche e soprattutto sul piano dell’intangibile, ossia attraverso un brand in grado dialogare con l’utente finale e di offrire a questo la possibilità di manifestare, con il semplice possesso di un bene, la propria identità».