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 2010  aprile 29 Giovedì calendario

I FALSI AMICI DELLA STABILIT

Si ragioni freddamente, senza fare appello alla solidarietà fra popoli europei. Conviene all´Europa costringere la Grecia a una dichiarazione unilaterale di insolvenza? Tale sarebbe tecnicamente l´ammissione del Governo di non essere in grado di rifinanziare il debito in scadenza (pur senza cancellarlo con un tratto di penna), o di pagare gli interessi alle date stabilite. Sarebbe una soluzione auspicabile, direbbero certamente molti buoni borghesi tedeschi.
Una lezione necessaria, il miglior modo, senza tirare fuori un euro, per obbligare la Grecia a stringere tutta la cinghia. Il giorno dopo l´evento di insolvenza, infatti, la carta greca non troverebbe più mercato: in conseguenza, i quasi sette punti di pil di eccedenza sulle entrate della spesa pubblica al netto degli interessi non potrebbero più essere finanziati e dovrebbero essere immediatamente tagliati (salvo a concepire un´uscita dall´euro, e in conseguenza dall´Unione europea, con la restaurazione di una banca centrale nazionale che si metta a stampare moneta). Vero, ma nella colonna dei costi vi sono molte voci, ad una delle quali anche i citati buoni borghesi dovrebbero essere sensibili: le banche tedesche sono esposte verso la Grecia per oltre 30 miliardi di euro (e per quasi 60 quelle francesi mentre per soli 5 o 6 quelle italiane), su cui si registrerebbe immediatamente una cospicua perdita. E poi, con tutto il debito pubblico che le economie avanzate (anche la Germania) riverseranno sui mercati nei prossimi anni, forse, non ci si fermerebbe là. Alla fine si dovrebbe pur sempre mettere mano al portafoglio, se non per sostenere la Grecia, per sostenere il sistema bancario.
Ma, al punto in cui siamo arrivati, è concepibile e fattibile una soluzione che eviti l´insolvenza? Oppure, come molti sostengono, qualsiasi aiuto offerto oggi è sprecato, perché serve solo a rinviare di poco tempo l´esito temuto? Ogni risposta plausibile deve essere piena di "se". Elenchiamo le condizioni principali affinché l´impresa sia possibile. Anzitutto il grave squilibrio strutturale della finanza pubblica greca deve essere drasticamente ridotto: lagrime, dunque, se non sangue, e soprattutto consapevole accettazione politica degli interventi necessari (come da noi avvenne fra il 1992 e il 1993). Una opposizione che quando era al governo falsificò talmente i dati di bilancio (con un deficit per il 2009 dichiarato del 3,7 per cento del pil a inizio anno, rivisto poi al 6, e infine accertato dal nuovo governo prima al 12,7 e infine al 13,6) dovrebbe oggi offrire silenziosa collaborazione.
Ma non basta. Questi sforzi non sarebbero sufficienti a evitare il peggio, se per rimborsare il debito in scadenza e per finanziare il nuovo fabbisogno il governo dovesse rivolgersi a un mercato che chiede interessi del 12-14 per cento: un´arcigna austerità servirebbe a poco e sarebbe anche poco presentabile politicamente. Di qui la necessità di un piano a medio termine di assistenza finanziaria: a tassi ben inferiori a quelli che il mercato chiederebbe scontando un rischio di insolvenza; ma anche subordinato nelle erogazioni successive al rispetto di obiettivi stringenti di finanza pubblica, con una implicita parziale rinuncia di sovranità (offriamo a testimonianza la memoria nostra del 1974). Senza l´assillo di cercare fondi a condizioni di usura e con un risanamento in atto sarebbero anche concepibili provvedimenti concordati di ristrutturazione del debito in modo da allungarne la durata per rendere più agevole la transizione a un migliore equilibrio.
Fra queste due possibilità che hanno entrambe una loro logica – lasciare la Grecia al suo destino oppure organizzare un´operazione di soccorso con il contributo del paziente – la Germania, che l´Europa pare costretta a seguire, ne ha scelto una terza che riesce a coniugare i costi delle altre senza ottenerne i benefici. Un sì privo di convinzione all´assistenza, che tuttavia viene rinviato in attesa di eventi elettorali; l´opposizione a prestiti con tassi inferiori a quelli di mercato (quali invece pratica sempre il Fondo monetario internazionale); il rifiuto di impegnarsi a termine più lungo; il richiamo a principi costituzionali che imporrebbero un assenso del Parlamento per la concessione di un prestito o addirittura per l´erogazione di ogni rata del prestito; il rifiuto di consentire agli altri paesi europei di fare comunque la loro parte, anche in assenza di decisione unanime; la diffidenza verso il Fondo monetario, pronto a partecipare all´operazione. Quegli stessi che si proclamano amici della stabilità e nemici della speculazione, rischiano di compromettere la prima e, rinviando le decisioni necessarie e prolungando l´incertezza, offrono comunque alla seconda ottime opportunità.