Vittorio Sgarbi, Panorama 29/04/2010, 29 aprile 2010
PERCH LA CRITICA HA IGNORATO CREMONINI
Mentre, nell’assoluta indifferenza per i valori dell’uomo e per ciò che ne riflette l’esperienza artistica, a Roma si presentano gli indirizzi, sub vitro, dell’arte contemporanea per il nuovo Maxxi, muore uno dei grandi pittori italiani, Leonardo Cremonini. E la critica non lo registra, né credo che vi sia traccia di opere sue nelle collezioni costituite in anni recenti e presentate nei cataloghi appena editati dalla Electa.
Che Cremonini non avesse molta fiducia nel giudizio estetico dei responsabili delle istituzioni e della critica in Italia è dimostrato dal volontario esilio a Parigi, città di elezione, senza rinunciare alla amata Italia nei ricorrenti soggiorni stagionali a Ischia, a Firenze, a Panarea. Cremonini aveva capito che il riconoscimento alla sua impresa non sarebbe venuto dall’Italia e dalla critica italiana. E, puntualmente, con la sua morte ne abbiamo avuto conferma. Qualche settimana fa toccò a Giannetto Fieschi che, restando in Italia, aveva avuto anche minor fortuna.
La grande tensione spirituale che caratterizzava entrambi, e che appare formalmente più compiuta in Cremonini, sembra essere sfuggita a gran parte della critica. Mentre a un occhio sgombro da pregiudizi sarebbero dovute apparire evidenti le consonanze di linguaggio e di tormentata spiritualità con Francis Bacon, ammiratissimo maestro. Ma Cremonini, pur consapevole delle contraddizioni e delle distinzioni, restava imperturbabile indicando, con coerenza, una eletta strada nella sintassi compiuta di luce e forma e di forma e colore.
Se ne sarebbero accorti, per l’assoluta evidenza delle opere, scrittori e filosofi come Michel Butor e Louis Althusser, Alberto Moravia e Alain Jouffroy, e anche Régis Debray e Umberto Eco.
Ma anche la critica attenta non ha voluto considerare l’originalità della ricerca di Cremonini che, con impeccabile coerenza, indica la necessità della pittura «implicata», cioè implicata nella vita e nella realtà, con lento e implacabile avanzare. Talmente rara da essere sopraffatta dalla vera e propria morte dell’arte che si esprime, nella chiara e distinta concezione di Cremonini, in quella da lui chiamata «arte applicata», fatta di provocatori e pubblicitari, che si affermano con il favore di tempi in cui si è perduta l’equivalenza fra arte e vita, tra luoghi visti e luoghi rigenerati nelle immagini di luminosità tesa, abbacinante.
Leonardo Cremonini è stato il pittore della luce interiore, nella infinità di emozioni di un cuore turbato, così che la sua opera è stata, come ha scritto Jouffroy, «il più grande romanzo dipinto fino a oggi sulle relazioni amorose dell’individuo con la realtà».
Troppo per un tempo che non crede alla capacità estrema di esprimere nell’arte la verità dei sentimenti.