Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 29 Giovedì calendario

UN DEFICIT DA RECORD, MA POSITIVO


L’Italia nel 2010 vedrà il suo deficit pubblico al 3,5 per cento del prodotto nazionale. Per restare all’Europa, meglio della Repubblica Ceca dove sarà al 3,7, della Germania, dove ammonterà al 3,8, dell’Austria e del Belgio al 4,3, della Francia al 4,6, dei Paesi Bassi al 5,2 per cento. Lasciamo perdere poi la pattuglia dei «disastrati»: il Portogallo al 7,1, la Norvegia e la Spagna al 7,3, il Regno Unito al 7,6, l’Irlanda al 7,9. E, fuori dall’Europa, il Giappone, che registrerà un deficit pubblico pari al 7,5 per cento del pil, e gli Stati Uniti, dove non scenderà sotto il 9,2.
Sono i dati contenuti nell’ultimo aggiornamento del Financial stability report, diffuso dal Fondo monetario internazionale il 20 aprile a Washington. Non è una graduatoria elaborata dal governo italiano per farsi bello, è la valutazione di uno dei più autorevoli fori mondiali. Proprio per questo fa ancora più impressione compulsare le tonnellate di numeri elaborati dalle squadre che, una per ogni maggiore paese, seguono l’andamento degli elementi fondamentali dell’economia e dei conti pubblici.
Eravamo abituati, come Italia, a essere additati alla diffidenza e allo sdegno dell’intera comunità finanziaria mondiale per il nostro debito pubblico oltre il 100 per cento del pil, che storicamente ci accomunava giusto al Belgio in Europa. Ma il mondo è cambiato sorprendentemente in fretta, da allora. Dopo due anni di deficit pubblico galoppante nei paesi che hanno dovuto mettere massicciamente mano al bilancio pubblico per salvare le banche e affrontare l’esplosione delle bolle da eccesso di debito, la media dei paesi Ocse ha compiuto un poderoso scatto in avanti, avvicinandosi a percentuali di debito pubblico «italiane». Il debito francese sarà nel 2010 vicino all’85 per cento del pil, come quello portoghese. Nel Regno Unito ci si avvicina all’80 per cento. Negli Stati Uniti, dove era al 41,5 per cento del pil sotto George W. Bush, il debito arriverà a fine 2010 al 92,6. Lasciamo perdere il Giappone, dove lo stato sarà indebitato per più del 227 per cento del pil.
Come già avevano riconosciuto i vertici della Banca centrale europea (la Bce) e della Commissione europea, grazie al governo Berlusconi e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, l’Italia è andata in controtendenza. Ha deluso chi la indicava come «bomba a rischio». Nell’area latina e mediterranea, che continua a essere investita dalle scommesse contro la tenuta del doppio accordo europeo a sostegno di Grecia oggi e Portogallo e Spagna domani, l’Italia è diventata un paese produttore ed esportatore di stabilità, frenando l’incremento della spesa pubblica e non dovendo effettuare salvataggi di stato.
Non si tratta solo di tenere obbligatoriamente duro su questa linea, visto che la crisi dell’eurodebito non è scongiurata e i premi al rischio greco, spagnolo e portoghese continuano a battere record dopo record. Per il governo italiano inizia a diventare possibile e attuale anche la messa all’incasso del prestigio e dell’affidabilità guadagnati mentre il mare è in tempesta. A Tremonti sin qui è sembrato non interessare molto la partita nella Bce per il dopo Trichet, che entrerà nel vivo l’anno prossimo. Però, grazie a questi numeri, non ci sarà ipotesi di tassa europea sulla stabilità bancaria, né accordo riservato all’Ecofin e all’Eurogruppo per la Bce, in cui Tremonti non pesi molto più che in passato.