Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 29 Giovedì calendario

HENRY LUCE, L´UOMO CHE INVENTO’ "TIME" E "LIFE"

Nessuno degli argomenti che di questi tempi sono al centro del chiassoso crocevia del mondo dell´informazione è altrettanto fondamentale del dibattito sull´autorità del giornalismo, su chi ce l´abbia, su quanto essa valga.
Da un lato, volendo semplificare un po´ le cose, si ritiene che il potere democratizzante di Internet abbia reso obsoleti i valori e le forme tradizionali del giornalismo, e insieme a quelli – non a caso – l´idea che le persone dovrebbero sborsare dei soldi per accedere alle notizie. Tra i sostenitori più utopistici di quest´idea della capacità di "giudizio delle masse", affidarsi ai giornalisti professionisti è considerato qualcosa di elitista e vessatorio.
Dall´altro lato prevale invece la convinzione che una significativa percentuale di gente responsabile avverta la necessità di avere qualcuno – dotato della giusta preparazione, dell´esperienza necessaria e di criteri precisi, quali giornalisti e direttori – che l´aiuti a scavare nelle notizie, ad analizzarle, a individuare che cosa è realmente importante e cosa no, e soprattutto a capirle. In questa convinzione – che io condivido – l´autorità dei giornalisti professionisti è a uno stesso tempo sia un pregevole vantaggio per quei lettori che non hanno né il tempo né l´attitudine per cimentarsi per conto proprio con l´oceano smisurato delle informazioni, sia un bene comune, nel senso che una democrazia necessita di una base condivisa di informazioni attendibili sulla quale formare le proprie opinioni.
Henry R. Luce può meritatamente essere considerato il padre fondatore di questa seconda scuola di pensiero, nel bene come nel male. Luce, fondatore di Time, Life, Fortune e in seguito Sports Illustrated, fu un magnate dei media nell´epoca nella quale un editore solitario poteva aspirare a influenzare il corso degli eventi mondiali. Luce sfruttò il potente megafono di cui arrivò a disporre per sostenere i politici che ammirava, per dare della classe media americana un ritratto il più delle volte rassicurante, e per promuovere la causa dell´interventismo americano nel mondo, arrivando a mostrare un´autentica e indomita passione perfino per il Vietnam, dove si susseguivano vicende quanto meno avverse. Quello che egli definiva «giornalismo d´informazione con uno scopo» spesso era difficilmente distinguibile, se vogliamo, dalla propaganda tout court, e ciò gli valse il disprezzo degli intellettuali liberal.
Alan Brinkley, ha il dono di saper restituire tutta la pienezza che col tempo è venuta a mancare a personaggi trasformati in caricature. Nel suo nuovo libro intitolato The Publisher: Henry Luce and His American Century, Brinkley adesso attua la medesima operazione. Il "suo" Luce è un personaggio complesso, più tragico che negativo. Ciò non vuol dire che il suo sia un profilo particolarmente lusinghiero. Il suo libro rende piena giustizia all´insicurezza da outsider di Luce, alla sua cieca affinità con gli uomini di potere, alle sue mancanze nei confronti della propria famiglia. Ma si tratta a uno stesso tempo di un ritratto molto umano, e rende tutto il giusto merito al ruolo avuto dalle sue riviste – soprattutto Time e Life – in un Paese sempre più difficilmente alle prese con la propria forza geopolitica dominante nel mondo. I periodici e le testate di Luce servirono in un certo senso da collante culturale, in grado di unire la classe media a una certa comprensione condivisa del mondo, e di spianarle la strada nei periodi di guerra e di difficoltà economiche. difficile immaginare, nell´odierno panorama mediatico disaggregato, una testata che sia in grado di rivestire un ruolo analogo.
L´uomo che nel suo editoriale più famoso scritto per Life avrebbe definito il Novecento il "secolo americano", nacque e crebbe a seimila miglia dalle sponde d´America. Suo padre era un missionario presbiteriano in Cina, un uomo intelligente e illuminato che si era laureato a Yale e che considerava suo dovere non soltanto convertire i cinesi alla sua religione, ma soprattutto abituarli agli standard occidentali di educazione e benessere, così che avrebbero finito con l´essere attratti dal cristianesimo da soli. Da studente a Hotchkiss Luce incontrò inoltre una delle due persone che avrebbero avuto una grandissima influenza sulla sua vita di adulto, entrambi e a uno stesso tempo rivali e partner. Briton Hadden era tanto iconoclasta quanto Luce era fervente, tanto ribelle quanto egli era disciplinato, tanto carismatico quanto egli era socialmente inetto. Per tutte le superiori e l´università i due furono in concorrenza aperta tra loro per conquistare onori e attenzione, e pochi anni dopo la laurea divennero collaboratori in un ambizioso giornale appena fondato.
Luce e Hadden condividevano un medesimo disprezzo per quelli che adesso sono chiamati i "mainstream media", ovvero i tabloid scandalistici, ma anche i quotidiani più seri che loro ritenevano fiacchi e sovrabbondanti. Baldanzosi e pieni di una precoce autostima e una smisurata fiducia nelle loro possibilità, idearono un sommario settimanale di fatti e di analisi raccolti da altre pubblicazioni. Il giornale, che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi Facts (ma si era trasformato in Time ancora prima di fare il proprio ingresso in edicola nel 1923) garantì che avrebbe esaminato una novantina di periodici e amalgamato le notizie riguardanti ogni possibile aspetto della vita. Sua missione dichiarata fu quella di servire «le classi più agiate e poco colte, gli uomini d´affari troppo impegnati, la stanca debuttante in società, per prepararli quanto meno una volta a settimana a sostenere una conversazione a tavola».
La nuova rivista aveva le qualità che oggi mettiamo in relazione ai blog. Era concisa, stringata, informale, con abbondanti effetti politici, resi in una prosa che si attirò parecchie frecciate satiriche. (Sul New Yorker si lesse una parodia che diceva: «frasi scritte all´incontrario, finché la testa non gira»).
Quando l´autodistruttivo Hadden arrivò a morire a soli 31 anni per aver esagerato negli stravizi, Time era diventato ormai un successo straordinario e la nuova rivista di economia, Fortune era già pronta sulla rampa di lancio. Alcuni anni dopo Luce si mise a progettare un "settimanale illustrato" che sarebbe diventato immensamente popolare, Life.
Oltre a Hadden, l´altro personaggio più importante e più presente in questa proliferazione di testate fu Clare Boothe Luce, la seconda moglie del magnate dei media, sceneggiatrice, rappresentante al Congresso, ambasciatrice in Italia e pazza certificata. I suoi exploit avrebbero fornito abbondante materiale per la rivista popolare alla quale Time Inc. diede vita dopo la morte di Luce, "People". La loro fu una relazione tempestosa, competitiva, spezzacuori; non mancarono baruffe e scintille, ritorni romantici, una vita sessuale ridotta ai minimi, esperimenti con l´Lsd (a lei piaceva, lui lo detestava), e scambi epistolari violentemente melodrammatici di cui Brinkley fa buon uso.
Sin dall´inizio, le riviste di Luce non si astennero dal dare opinioni, e Luce fece molta fatica – non sempre coronata da successo – per garantirsi che quelle opinioni fossero le sue. anche vero, però, che le sue pubblicazioni si caratterizzavano per una vera e propria infatuazione per il potere: a lungo – spiega Brinkley – Mussolini fu trattato con deferenza, circondato da un alone di fascino «spesso indistinguibile dall´ammirazione», e con uno spirito di parte molto Repubblicano, quasi strillato. Luce incoraggiava le proprie riviste a sostenere i politici che amava: scriveva discorsi elettorali per Wendell Willkie, adorava Eisenhower, pagava cifre molto generose per brani dei diari di Winston Churchill ed era quasi abbagliato dalla Camelot di Kennedy. La causa che stette maggiormente a cuore a Luce, nata dalla Seconda guerra mondiale, alimentata dal suo odio per il Comunismo, si incentrò sulla sua visione attivista e paternalista del ruolo dell´America nel mondo, e sul suo disprezzo per coloro che egli considerava isolazionisti e pacifisti. Quello fu il nucleo portante del suo editoriale intitolato "Il secolo americano" e permeò ogni sua pubblicazione. A un certo punto egli arrivò a prendere in considerazione l´idea di trasformare "Fortune", dalla rivista di economia che era, nella "Rivista dell´America potenza mondiale".
Quando Luce scrisse "Il secolo americano", il fatto che l´America era uscita dall´ombra dell´Europa per diventare la nazione più potente della Terra era tanto opinione condivisa e tradizionale quanto pura e semplice verità.
Nelle sue imprese e in ciò che compì vi fu una grande ampiezza di vedute che merita la nostra ammirazione. A prescindere da quello che possiate pensare di Luce, egli non abbassò mai il livello delle sue pubblicazioni: ogniqualvolta le sue riviste rallentavano le vendite, Luce insisteva sempre che il modo di dar loro nuovo vigore era di renderle migliori, non più sciocche, più populiste, più sensazionaliste o più ciniche. Il suo obiettivo principale non fu mai quello di espandere semplicemente il numero dei lettori o schiacciare la concorrenza, ma portare avanti quella che egli considerava la grandezza della sua nazione.
Quando Luce morì, nel 1967, quel concetto era ormai andato in pezzi e oggi non esiste alcun tramite, alcuna voce che abbia la potenza coerente delle riviste di Luce nei loro giorni migliori. L´ultimo appartenente a quella sua stessa razza di magnati dei media è un miliardario australiano di 79 anni, il cui impatto è stato però più corrosivo che coesivo.
Sarebbe sicuramente un errore rendere troppo sentimentale la versione dell´autorità giornalistica del secolo scorso. tuttavia onesto affermare che la cacofonia dei mezzi di informazione di oggi – nei quali i pettegolezzi e le invettive spesso superano per chiasso le testimonianze attendibili, nei quali teste strillanti hanno abdicato alla riflessione e alla moderazione, nei quali è possibile per il pubblico essere informato su tutto senza mai imbattersi in un´opinione contraria ai suoi pregiudizi – riveste ancora un ruolo preciso nel polarizzare la nostra politica, nella disfunzione del nostro sistema politico e nel crescente cinismo dell´elettorato americano.
© 2010, The New York Times – Traduzione di Anna Bissanti