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 2010  aprile 29 Giovedì calendario

Ieri parecchi siti internet titolavano ottimisticamente: «Grecia, sì di Berlino agli aiuti», e intanto le Borse continuavano ad andar giù (tranne, misteriosamente, quella di Atene), l’euro scendeva a 1,31 contro il dollaro, i differenziali tra bond greci e tedeschi schizzavano oltre quota mille e Standard & Poor’s incupiva ulteriormente il panorama mediterraneo declassando anche il debito spagnolo da AA+ ad AA, con outlook negativo, il che significa che nei prossimi giorni la Spagna sarà ulteriormente retrocessa

Ieri parecchi siti internet titolavano ottimisticamente: «Grecia, sì di Berlino agli aiuti», e intanto le Borse continuavano ad andar giù (tranne, misteriosamente, quella di Atene), l’euro scendeva a 1,31 contro il dollaro, i differenziali tra bond greci e tedeschi schizzavano oltre quota mille e Standard & Poor’s incupiva ulteriormente il panorama mediterraneo declassando anche il debito spagnolo da AA+ ad AA, con outlook negativo, il che significa che nei prossimi giorni la Spagna sarà ulteriormente retrocessa.

Non crede che gli aiuti alla Grecia arriveranno prima del fatidico 19 maggio?
Sono ottimisti quei titoli dei siti. Ieri il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, e il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, erano a Berlino a sgolarsi per persuadere la Merkel a far qualcosa prima delle elezioni del 9 maggio. Hanno ottenuto sostanzialmente questo: Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, prepareranno un disegno di legge entro lunedì prossimo e lo presenteranno al Bundestag, il Parlamento federale. Faranno di tutto perché il Parlamento federale lo approvi entro venerdì 7 maggio. Ma non possono giurare né sul sì del Parlamento né sui tempi. I sondaggi per il voto in Nordreno-Westfalia non sono buoni, il 57% dei tedeschi almeno non vuol sentir parlare di soldi ai greci, quegli 8,3 miliardi che spettano a Berlino sarebbero tolti a un pacchetto di sgravi fiscali. dura spiegare al popolo che far saltare per aria la Grecia può costare più che aiutarla. Se la Grecia, il 19 maggio, non restituisse gli 8-9 miliardi in bond che deve ai suoi creditori, salirebbero i tassi d’interesse su tutti i titoli l’Eurozona, compresi i titoli tedeschi. Bisogna capire che la crisi greca è prima di tutto una crisi dell’euro.

Però anche lei, ieri, ha detto che i greci non saranno in grado di restituire i soldi del prestito! Lo ha detto lei: dopo un anno o due i greci non ce la faranno più e chiederanno la «ristrutturazione». E allora?
Non l’ho detto io, ma una quantità di analisti che mi sono permesso di citare. E del resto questa è, fino ad oggi, l’opinione dei mercati, fondata sulle caratteristiche degli aiuti (45 miliardi per un anno al 5%) e sull’analisi delle possibilità reali di quel paese. Senonché gli esperti del Fmi sono adesso ad Atene a discutere le condizioni di questo sussidio e quello che sta venendo fuori è questo: sabato sapremo che si metteranno sul tavolo per la Grecia non 45, ma 80 o forse 100 (vogliamo dire 120?) miliardi, con un piano di rientro non triennale ma probabilmente quinquennale e con un tasso d’interesse meno proibitivo…

Ha senso un tasso d’interesse più basso del 5%? Ieri ho sentito in televisione che il tasso sui bond greci decennali ha toccato il 13,1 per cento!
Parliamoci chiaro: i paesi che prestano i soldi (tra cui l’Italia, per cinque miliardi e mezzo), li vanno a raccogliere a loro volta sul mercato. All’1 o al 2 per cento. Rigirandoli alla Grecia al 4 o al 5 ci guadagnano. Poco, ma ci guadagnano. Bisogna naturalmente che la Grecia non faccia la fine dell’Argentina e restituisca tutto. Per questo mi pare sensata l’idea di mettere sul tavolo una somma più importante, a un tasso più contenuto e con rate più diluite. In questo momento si deve guadagnare tempo. Spento l’incendio greco, ci sarà modo anche di costruire una procedura di salvataggio che assurdamente a Maastricht non è stata pensata.

Ma le condizioni della Grecia quali sono? Glielo chiedo avendo un retropensiero piuttosto agghiacciante, e cioè che noi, alla fin fine, non siamo troppo diversi da loro.
I punti di contatto sono il forte indebitamento dello Stato (260-280 miliardi, cioè 25 mila euro a testa), il forte tasso di corruzione in tutti i settori della pubblica amministrazione, l’importante quota di evasione fiscale, a cui in questi giorni si aggiunge una fuga di capitali all’estero sotto forma di acquisti di case, soprattutto sulla piazza di Londra. Sarebbero scappati finora una quindicina di miliardi.

C’è qualche differenza?
Beh, noi abbiamo una struttura industriale che il resto d’Europa se la sogna. E le nostre famiglie sono poco indebitate, fatto di cui solo oggi gli analisti capiscono il valore. Lloro hanno esagerato con le assunzioni degli statali e con le pensioni. Il 40% del loro Pil è determinato dal settore pubblico. Fino all’anno scorso un’insegnante con 27 anni di servizio e un figlio piccolo riusciva a smettere di lavorare a 52 anni. Il Fmi chiede di tagliare stipendi pubblici e pensioni. Le tredicesime e le quattordicesime degli statali sono già state abolite. Per calibrare bene gli aiuti, però, l’Unione europea e il Fondo monetario dovranno tener conto dell’aspetto sociale del problema. Non sono passati molti mesi da quando il centro di Atene è stato devastato dai rappresentanti della “generazione 700 euro”, givoani furibondi decisi a spaccare tutto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/4/2010]