Roberto Perrone, Corriere della Sera 29/04/2010, 29 aprile 2010
DECISIONISTA E PRESENTE A IMMAGINE DEL PADRE
In Famiglia non sono scaramantici. L’ultima apparizione a casa Juve – allora da semplice «cugino» – di Andrea Agnelli fu il 17 dicembre 2009: con John Elkann andò a visitare il gruppo a Vinovo. Tre giorni dopo arrivò il Catania e sbancò l’Olimpico (2-1): il piano inclinato su cui Ciro Ferrara e la stagione avevano cominciato a scivolare divenne una parete senza appigli. Un girone dopo mancano sempre tre giorni al Catania e Andrea Agnelli, 33 anni (Torino, 6 dicembre 1975) diventa presidente. Ormai le partite le guardava in tv con sua moglie Emma Winter e sua figlia Baya (5 anni), ma era presente allo stadio in pensieri, parole e opere: per lui striscioni, cori, speranze, queste il bagaglio più ingombrante che si porterà nell’ufficio di corso Galileo Ferraris dove non farà il presidente-bandiera.
l’ultimo degli Agnelli, una specie di messia mohicano atteso dal popolo bianconero dal 7 maggio 2006, l’ultima volta della Juve al Delle Alpi, l’ultima volta che lo si vide a bordo campo. Già piangeva il telefono e John Elkann esprimeva «vicinanza all’allenatore e alla squadra» ma non ai dirigenti. Il vento era cambiato, ma con quei dirigenti, Antonio Giraudo e Romy Gai su tutti, Andrea Agnelli è ancora legato. Strategie e alleanze cambiano. Nella decisione pesano equilibri familiari. (1): John Elkann bi presidente di Fiat ed Exor ha bisogno dell’appoggio del terzo azionista (9,92) dell’Accomandita Giovanni Agnelli. Ma anche il momento drammatico della Juve. (2): C’è bisogno di qualcuno che riannodi il filo spezzato con i 14 milioni di sostenitori delusi e anche con quelle avanguardie che ogni domenica rendono irrespirabile il clima allo stadio. C’è bisogno di un Agnelli.
Eccolo. Andrea, nato a Torino il 6 dicembre 1975, figlio di Umberto Agnelli e della sua seconda moglie, Allegra Caracciolo, una sorella, Anna, regista. Studi a Oxford (St.Clares College) e alla Bocconi, esperienze di lavoro variegate con presenze significative alla Philip Morris, seguendo la sponsorizzazione delle Rosse, e alla Ferrari Idea di Lugano. Nel 2007 ha costituito la finanziaria Lamse ed è a.d. della Royal Park Country Club I Roveri, polo golfistico torinese, e consigliere della Federgolf. La sua ultima avventura è la casa editrice Add con Michele Dalai e Boosta (Davide Dileo fondatore dei Subsonica). Sua moglie Emma, inglese conosciuta in Svizzera, lo descrive geloso e bravo in cucina: piatto migliore i calamari ripieni. Ama l’arte contemporanea, ma soprattutto la Juve. Chi lo conosce sostiene che in questi anni non ha sofferto solo per i cattivi risultati, ma soprattutto perché non poteva viverli accanto alla squadra, cercando di fare qualcosa. il figlio di Umberto, nella passione bianconera, nel carattere, nelle idee, nella presenza. Umberto Agnelli è stato il vero presidente della Juve dal 1994 al 2004, anno della sua morte, il termine «onorario» non lo conteneva. stato lui a rivolere Marcello Lippi nel 2001, è stato lui, morente, nel 2004 a pretendere l’ingaggio di Fabio Capello (ottimo il rapporto con Andrea).
Non sventolerà a margine. E qui si pone il problema della convivenza con Jean-Claude Blanc che lascia la presidenza, ottenuta a inizio ottobre quando la Juve aveva il vento nelle vele. Andrea Agnelli ha una visione «giraudiana» del calcio: business e risultati, senza intercapedini, senza inutili buonismi, né vuoti appelli alla «simpatia». Un’idea italiana. Blanc, fino a martedì, ha lavorato nel suo triplice ruolo. Secondo alcune fonti non se l’aspettava. Adesso penserà solo agli aspetti amministrativi e al nuovo stadio. lui che ha avviato il progetto, fondamentale per la Juve del futuro, è lui che dovrebbe portarlo a termine e poi lasciare nel 2011 (a scadenza del contratto). La nuova Juve, però è già cominciata, Andrea Agnelli se la prende sulle spalle. Per ora con Beppe Marotta in cabina di regia tecnica e Rafa Benitez in panchina e, magari, Javier Mascherano (e altri acquisti) in campo. L’idea è quella di una Juve agnelliana il cui stile, al di là di tutte le interpretazioni più o meno legittime, si sintonizzava in un solo verbo. Vincere.
Roberto Perrone