FRANCESCO MERLO, la Repubblica 29/4/2010, 29 aprile 2010
ROSE, LA SIGNORA DELLE FOGNE
Ha scoperto che i popoli si dividono in accovacciati e seduti e che non ci sarà mai comprensione tra l´acqua e la carta, tra chi lava e chi strofina. Ha rincorso ”The Big Necessity´ trascinata dallo scarico a sifone, aggredita e decomposta in azoto e fosfati.
Sgretolata come un torrone secco, imbibita come un babà, fermentata sino a diventare gas da cucina, fertilizzante nei campi della Cina, veleno nelle frecce dei Vietcong. L´ha apprezzata disidrata e polverizzata, trasformata in mattoni, in asfalto, in gioielli persino.
Minuta, graziosa e tenace, la giornalista inglese Rose George che debuttò nella redazione del libro "Cacas" realizzato nel 1998 dalla rivista "Colors" di Oliviero Toscani, ha completato il suo viaggio nelle fogne di tutto il mondo e ora ci propone "Il Grande Bisogno" che a New York e a Londra scorre e scroscia dentro tubazioni e congetture, ma dolentemente si spappola a cielo aperto in Africa, in Asia, in quel Terzo Mondo dove la dissenteria «uccide un bambino ogni quindici secondi» perché 2,6 bilioni di esseri umani non dispongono di presidi igienici e dunque la fanno come e dove capita, e dove Rose George ha potuto osservarli con tutta la solidarietà sociale di una signora dello Yorkshire.
George, la cui prosa sembra fatta di oggetti reali, materiali e fonici, ha affrontato ratti spavaldi e immortali ma ha avuto paura solo dei miti scarafaggi (kafkiani?). Ha rischiato di affogare e di ammalarsi e ha imparato a usare il naso per fiutare il pericolo tra fanghi, zavorra corporea, urina riciclata, filtri a sabbia, vesciche timide, fotografi di gabinetti sporchi in Sudafrica, biogas, digestori anaerobici, i visionari del World Toilet, il buco nero del comunismo cinese, montagne di fertilizzante e mosche, milioni di mosche-Erinni, «una mosca è più letale di mille tigri». E sono passati dai gabinetti di Londra «pezzi di motocicletta, passeggini, pesci rossi, monete, diamanti, centinaia di telefoni cellulari…».
Chi ha letto "Giochi sacri" di Vikram Chandra ricorderà il poliziotto indiano che fa la fila, con la sua brocca d´acqua, per entrare nella latrina a secco, «due mattoni disposti in piano a una distanza che permetta di accucciarsi». Ebbene, la George ha stretto la mano agli intoccabili, 1.200.000 cernitori manuali, quasi tutte donne, che hanno il compito di vuotarle «ogni giorno, a mani nude o con un pezzo di latta»: persino le loro ombre sono sporche.
La George ha calcolato che ogni uomo passa almeno tre anni della sua vita in bagno e non solo perché la tecnologia e la scienza sono al servizio dell´evacuazione e della minzione quotidiane dei fortunati d´Occidente. Ci vanno anche per leggere, fumare, tirare cocaina, scrivere schifezze sui muri, consumare perversioni e, nel caso degli immigrati polacchi a Londra, passarci la notte.
Templi di poesia, i bagni privati - con i sedili riscaldati per Madonna, Jennifer Lopez e Cameron Diaz - sono i luoghi d´amministrazione della sanità domestica, tanto più se riciclano, depurano e biodegradano tutto, anche il linguaggio. Si chiamano servizi, toilettes, "lavatories" in Inghilterra e, nella puritana America, "john" e "restrooms"… Dunque Rose George ha dimostrato anche la verità freudiana che il controllo degli sfinteri e il controllo della lingua (e della penna) sono virtù complementari e che c´è un rapporto stretto tra la fogna e la grammatica: «La prima cosa di cui le misure igieniche hanno necessità è un faro che le illumini. C´è bisogno di liberale dalla vergogna…Si può parlare del sesso. La morte è tornata ad essere argomento di conversazione», ma il grande bisogno «rimane celato dietro espressioni verbali, scelte per la loro pulita associazione, che noi ora usiamo per tenere nelle retrovie dei nostri discorsi il lato più animalesco dei nostri corpi».
L´uomo insomma non solo non butta più gli scarti dalla finestra ma nasconde e protegge anche le espressioni del suo disagio sotto un cumulo di acrobazie ermeneutiche e di parole appropriate che, per la verità, a molti di noi paiono i codici del rispetto e della decenza mentre la George crede che abolire l´eufemismo sia una liberazione. E infatti il suo viaggio nelle cloache è anche un viaggio nei bassifondi del linguaggio, con la malcelata voglia di sopprimere sia la fogna sia la grammatica.
Sappiamo dalla storiografia che l´età moderna cominciò con l´editto di Francois I che nel 1539 vietò di gettare appunto dalle finestre «acque putride o corrotte, escrementi, sterco, ceneri di bucato, carogne di animali...».
Da allora e sempre più radicalmente si ordinò di «privatizzare i rifiuti» per non fare "olere" il mondo. Ebbene, un popolo amico della pulizia lo diviene ben presto anche della grammatica. E infatti altri editti, nello stesso periodo, imposero l´uso della lingua negli atti ufficiali.
vero che nel contesto di Rose George le male parole non sempre suonano come parole andate a male. L´esplicita prosa del "Grande bisogno" ha un suo fascino perché essa stessa è la materia ripugnante del libro. Il linguaggio eccitato e gli spasmi lessicali coinvolgono emotivamente e compromettono il lettore e, prima di lui, l´editore che in Italia è la raffinata Bompiani, non sospettabile, pare, di coprofilia o di coprolalia.
Gadda, ogni volta che la scrittura lo portava in zone di imbarazzo, si concedeva rapidissimi bofonchi: «in ogni modo l´acido isobutirrico è un prodotto della chimica organica», oppure: «un giallone troja… Sì, sì, troja d´un gialdòn…in milanese, vero…ma non si può, è troppo volgare, l´editore si offenderà, non consentirei…».
Insomma qui c´è l´avventura nel disgusto, «la meno studiata delle emozioni umane». Così nel villaggio di Mosmoil dove la Water Aid riuscì a vendere latrine stomacando gli abitanti con l´esposizione dei loro rifiuti - 120.000 tonnellate l´anno - che, depositati tra i cespugli, andavano a finire «nei bacini per il bagno e nei fiumi; e da lì su vestiti, piatti e tazze, mani e bocche… Ogni giorno ingerivano dieci grammi di materiale fecale degli altri».
Ecco dunque questo libro: un seducente viaggio nel disgusto, un amorevole odore di ammoniaca e di fog (fat, oil, grease) che un fiato di vento annichilisce nell´aria.