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 2010  aprile 29 Giovedì calendario

L’FMI STUDIA LA RISTRUTTURAZIONE

Esiste un piano B? Un piano alternativo per affrontare la crisi greca - se il pacchetto di aiuti dei paesi europei e del Fondo monetario, che sta per essere finalizzato, dovesse rivelarsi insufficiente, o se il sistema politico di Atene alla fine fosse incapace di mettere in atto la stretta brutale, richiesta dal programma di aggiustamento passa necessariamente attraverso una ristrutturazione del debito pubblico. Anche se ieri il presidente dell’Unione europea, Herman van Rompuy, ha smentito seccamente questa ipotesi. Diversi esponenti di spicco del settore finanziario sostengono che casi recenti, in cui l’Fmi è stato coinvolto e la ristrutturazione è stata organizzata in modo preventivo, non sotto la spinta travolgente dei mercati, mostrano che si può fare minimizzando i danni.
Non ci sono più tabù: lo dimostra il fatto che questa discussione è avvenuta sabato pomeriggio a Washington, in una riunione riservata di esperti convocata dal direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn, lontano dagli incontri formali e dalla luce dei riflettori. Strauss-Kahn ha chiamato attorno a sé per un dialogo completamente informale e a tutto campo sui problemi dell’economia e della finanza globale una trentina di persone: qualche ministro e governatore di banca centrale, economisti, gestori di hedge fund, grandi banchieri (il Sole 24 Ore ha partecipato con l’impegno del riserbo sulla loro identità). E inevitabilmente si è parlato di Grecia, «perché oggi non si può guardare al mondo senza guardare alla Grecia», ha detto uno dei presenti.
Per i partecipanti all’incontro che rivestono cariche ufficiali, esiste solo un piano A, ed è quello in discussione in queste ore fra Berlino e Atene. E non potrebbe essere diversamente. La Grecia deve comportarsi come il Belgio del decennio scorso o come l’Irlanda oggi:l’unica via è la riduzione del debito attraverso un piano di austerità e di riforme strutturali. Qualcuno solleva dubbi sul fatto che si possa fare una manovra pari al 10% del prodotto interno lordo in tre anni: ma è già stato fatto, si obietta da parte ufficiale. Gli altri esempi recenti citati sono quelli della Lettonia e dell’Ungheria, paesi della Ue, anche se non dell’area euro, in cui Unione e Fmi si sono mossi fianco a fianco e dove per ora il massiccio supporto sembra aver funzionato. Inoltre, sosteneva ieri Erik Nielsen di Goldman Sachs, un pacchetto interamente prefinanziato, come quello che sta emergendo, significa che la Grecia non dovrà ripresentarsi sul mercato per almeno un anno, e questo riduce il peso dei punitivi spread attuali e del declassamento a livello junk bond.
All’estremo opposto,c’è l’ipotesi che la Grecia possa finire come l’Argentina nel 2001, cioè non voglia o non possa più pagare. In fondo, Buenos Aires, ha ricordato un economista all’incontro di Washington, aveva allora un deficit pubblico del 3%, Atene di oltre il 13, il debito totale argentino era il 50% del Pil, quello greco del 120, il deficit delle partite correnti del paese sudamericano del 2%, quello europeo del 10. E per riconquistare competitività ha bisogno di almeno 5 anni di deflazione e di riforme strutturali che richiedono tempo: persino quelle tedesche hanno portato benefici solo dopo dieci anni.
Sui mercati finanziari si sta facendo strada l’idea che la Grecia alla lunga non ce la possa fare e che quindi, dopo essersi assicurata un po’ di respiro con il pacchetto internazionale di aiuti, possa indirizzarsi comunque verso una ristrutturazione del debito, non un default stile Argentina, ma una soluzione negoziata. Una grande banca americana ha condotto alla fine della settimana scorso, al termine di un seminario per gli investitori, un sondaggio informale dal quale è emerso che il 90% si aspetta qualche forma di ristrutturazione. Più volte, all’incontro di Washington organizzato dall’Fmi, è uscito il nome dell’Uruguay. Travolto dalla crisi argentina dell’anno precedente, il paese vicino negoziò prima un prestito standby del Fondo (anche se per un ammontare molto più piccolo, 3 miliardi di dollari, in confronto a quello greco), poi, in accordo con l’Fmi,allungò le scadenze del debito di cinque anni, lasciando intatto il valore nominale. Il che non esentò il governo di Montevideo dall’effettuare una manovra fiscale pesante, che portò alla contrazione del debito dal 100% del Pil al 66 in tre anni. Nel giro di cinque mesi, ricorda uno studio di Morgan Stanley,l’Uruguay tornava ad affacciarsi sui mercati internazionali dei capitali privati. Quanto all’impatto sociale,la disoccupazione e la povertà scesero addirittura al di sotto dei livelli precrisi.