Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Fiat ha lasciato entrare nella sua fabbrica di Melfi (Potenza) i tre operai reintegrati dal giudice, ma ha poi preteso che si accomodassero nella saletta sindacale senza raggiungere il loro posto di lavoro alla catena di montaggio. I tre, presentatisi ai cancelli con gli avvocati e i compagni sindacalisti (due sono delegati Fiom-Cgil), non hanno voluto però restare senza far niente per tutto il turno. Uno di loro, Giovanni Barozzino, ha detto: «Rivoglio il mio posto di lavoro e mi presenterò tutti i giorni ai cancelli della Fiat fino a quando mi faranno tornare alla mia postazione. Non sono un parassita, voglio guadagnarmi il pane come ogni padre di famiglia». Il turno — quello delle 14 — ha scioperato un’ora e, all’interno della fabbrica, s’è svolto un corteo. Secondo la Cgil hanno aderito più o meno tutti, secondo la Fiat solo il 5%. In serata, la Fiom ha denunciato il Lingotto per la mancata osservanza della sentenza.
• Perché i tre operai erano stati licenziati?
Per l’azienda i tre, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, durante lo sciopero del 7 luglio hanno bloccato a mano il carrello che trasporta elettronicamente i pezzi da montare, impedendo così ai colleghi di lavorare.
• Come mai, lo scorso 10 agosto, il tribunale li ha reintegrati nel posto di lavoro?
Secondo il giudice del lavoro Emilio Minio il carrello potrebbe essere stato bloccato per sbaglio. Il licenziamento in questo caso potrebbe essere stato una misura eccessiva, bastando forse una semplice sospensione di qualche giorno. La Fiom contestava l’accordo di Pomigliano, che prevede 18 turni settimanali, comprensivi se necessario del sabato e della domenica, e che è stato formulato dall’azienda torinese volutamente in deroga al contratto nazionale di lavoro. La Fiat ha tenuto su tutta la vicenda la più dura delle linee possibili. È molto dura anche la risposta di ieri, cioè reintegrare i lavoratori, riconoscere loro lo stipendio fino al 6 ottobre (giorno in cui si discuterà il ricorso) ma non ammetterli sul posto di lavoro.
• La Fiat può fare questo?
L’azienda dice: «La Fiat Sata di Melfi, fiduciosa che il Tribunale di Melfi, nel giudizio di opposizione, saprà ristabilire la verità dei fatti, ribadisce la ferma convinzione che siano pienamente legittimi i provvedimenti adottati nei confronti dei tre lavoratori». Gli uomini di Marchionne ricordano poi che a carico dei tre lavoratori «è in corso anche un’indagine penale da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Melfi» . Secondo l’azienda, «fu un volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione, e non esercizio del diritto di sciopero». E poi: la decisione di non avvalersi «della sola prestazione di attività lavorativa dei tre interessati, che costituisce prassi consolidata nelle cause di lavoro e che ha l’obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa, trova, nel caso specifico, ampia e giustificata motivazione nei comportamenti contestati che, in attesa del completarsi degli accertamenti processuali, si riflettono negativamente sul rapporto fiduciario fra azienda e lavoratori».
• Che cosa ha risposto il sindacato?
Il sindacato contesta alla radice questo punto di vista, argomentando che i lavoratori vanno reintegrati in toto, cioè devono essere riammessi anche sul posto di lavoro. Un punto di vista condiviso anche dal giuslavorista Pietro Ichino, che è schierato con Marchionne, ma giudica in questo caso la posizione dell’azienda un errore. Il sindacato ieri ha voluto che l’ufficiale giudiziario, presente, verbalizzasse tutto. Gli avvocati annunciano un ricorso alla Procura della Repubblica, cioè cercheranno di far condannare l’azienda in sede penale. In un volantino distribuito ieri davanti alla fabbrica, la Fiom chiede l’intervento del presidente della Repubblica. Barozzino ha detto ai giornalisti: «Non fateci vergognare di essere italiani».
• Come mai questa durezza da tutt’e due le parti?
La linea dura del Lingotto è facile da interpretare: la Fiat vuole produrre senza problemi le sue Panda a Pomigliano (e le altre vetture affidate agli stabilimenti italiani), e intende sconfiggere in modo definitivo la logica del conflitto permanente in fabbrica. Nel peggiore dei casi, avrà una motivazione forte per sostenere che in Italia non si può lavorare e che è meglio aprire stabilimenti in Polonia, Serbia o negli Stati Uniti. Facile anche la lettura della linea Fiom: i contratti flessibili che si stipulano fabbrica per fabbrica, o azienda per azienda, sono la vera peste sociale dei tempi moderni. Si deve tornare invece al contratto nazionale, cioè alla contrattazione centralizzata che restituisce al sindacato nazionale e alle sue articolazioni tutto il potere che ne giustifica la sopravvivenza. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/8/2010]
(leggi)