MAURIZIO CROSETTI, la Repubblica 24/8/2010, 24 agosto 2010
IL PANINO DELLA SARDEGNA CHE SFIDA MCDONALD´S - «E ITTE
funtis narando?...», si chiede adesso il giovane imprenditore Ivan Puddu, in cucina tra un culurgione e una sebada. «Ma questi che stanno dicendo?...». Questi, cioè gli avvocati di McDonald´s che hanno intimato a Puddu di levare il "Mc" davanti al suo marchio "Mc Puddu´s". E lui, obbediente, ha eseguito, diventando nel giro di poche ore un più mite "De Puddu".
Era global, ora è di nuovo local. Una di quelle storielle tristi che fanno morire dal ridere.
«La multinazionale dell´hamburger sostiene che il mio Mc poteva confondere il consumatore. Ma quando? Ho due piccoli negozi alimentari con la mia fidanzata Martina, qui facciamo i culurgiones, sfoglie di pasta ripiena di patate e formaggio, anzi veramente li fa mia suocera. Mica panini imbottiti. Però non importa, non ho soldi da buttare in avvocati». Ora che tutta Italia parla di lui, c´è il sospetto di un´operazione pubblicitaria (involontaria?) colossale: «Ma io non posso mica sfornare migliaia di pezzi, mi limito a offrire una birra agli amici del paese, Santa Maria Navarrese, nell´Ogliastra, felice che si parli di prodotti e realtà locali. La pasta dei culurgiones cuciti con le dita la preparano anche i bambini, la domenica, nelle case sarde, sa di buono e di antico, è un rito di famiglia».
Dunque, Davide impasta e tira la sfoglia addosso a Golia, ai suoi cetrioli indigeribili e alle sue salse tremende. E la Regione Autonoma della Sardegna gli arma la mano contro il gigante. «L´Italia subisce ogni anno danni per 70 miliardi di euro a causa di falsi e imitazioni alimentari: diffidare un commerciante di tipicità sarde per il solo suffisso Mc, suona perciò come una beffa», dice l´assessore all´agricoltura Andrea Prato, nel cognome un destino.
Ma cosa racconta, questa bizzarra vicenda? I colossi patiscono davvero il solletico delle botteghe? «Un´arroganza così stupida, che mi verrebbe voglia di aprire un Mc Carlin´s!», risponde Carlin Petrini, presidente di Slow Food. «Il prefisso Mc vale l´italiano De, oppure l´irlandese ‘O, dichiara l´appartenenza a una famiglia, mica è un´esclusiva di McDonald´s. Il signor Puddu ha tutta la mia solidarietà: ha fatto male a cambiare nome, qui serve una risposta mondiale contro chi ha rotto proprio le scatole. Anche perché sono sicuro che, in tribunale, McDonald´s perderebbe».
Se Davide mangia i tortelli e Golia vuole imporre il cheeseburger (regalando magari i bicchieri colorati, compreso l´introvabile color azzurro), si tratta di commercio ma anche di antropologia. E allora che ne pensa l´antropologo? «Oltre il ridicolo dell´elefante che se la prende con la formica, questa vicenda segnala l´anomalia di un produttore globale che ignora il locale», risponde il professor Giulio Angioni. «Eppure, è dimostrato che il primo non sopravvive senza il secondo. Poi, mi chiedo se fosse davvero il caso di usare quel prefisso all´americana». Forse, l´errore è copiare i grandi e poi lamentarsi se questi si ribellano. «Perché richiamarsi a McDonald´s?», si chiede infatti lo scrittore Salvatore Niffoi. «Siamo di fronte a un imperialismo alimentare e linguistico, contro la cucina della memoria e il valore della lentezza. La definirei un´aggressività regressiva. È anche vero che certi prodotti popolari stanno diventando di nicchia, costosissimi e per pochi, dunque elitari. E ormai, per campare si va al discount».
E magari i grandi e piccoli negozi possono anche non litigare. «Anzi, è indispensabile convivere», dice Giuseppe Brambilla, amministratore delegato di Carrefour Italia, 1450 negozi, 24 mila dipendenti. «L´ottanta per cento dei nostri punti vendita, non solo ipermercati ma anche piccoli negozi, è gestito da imprenditori: se hanno prodotti locali da valorizzare, penso al pane o alla carne, possono farlo. Quello che conta è offrire qualità corretta a prezzi bassi, arrivando a un risparmio per il cliente di oltre il 15 per cento. I prodotti del territorio sono indispensabili, senza assurdi combattimenti. La nostra logica si basa sulla flessibilità dell´offerta. È chiaro che, talvolta, il piccolo negoziante può soffrirne, però il mercato va in una direzione chiara: ci sono sempre meno soldi da spendere. Nulla contro i prodotti di nicchia, però non tutti se li possono permettere».
Forse la soluzione del problema è un asse da stiro. Quello che l´economista Mario Deaglio ha comprato proprio ieri mattina, in un ipermercato: «Ma la prossima volta, forse, lo ordinerò su Internet e me lo farò consegnare a casa il giorno dopo, risparmiando. La rete mette d´accordo locale e globale, è il famoso terzo litigante che gode: lì c´è posto per tutti, senza limite di scaffali. Detto questo, alla grande distribuzione imporrei due regole. La prima: concedere sempre uno spazio ai produttori locali. La seconda: se chiude il negozietto di paese, si deve aprire un altro punto vendita per non lasciare scoperta la zona. Bisogna fare in modo che i centri commerciali non siano distruttivi». Altrimenti, si va a stirare col computer.