Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 24/8/2010, pagina 72, 24 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
1 maggio 1947
Turiddu di Stato
«Compagni, siamo qui riuniti per la festa del lavoro…». A Portella della Ginestra (Palermo), il calzolaio socialista Giacomo Schirò ha appena iniziato a parlare davanti alla folla di contadini quando viene interrotto da una serie di detonazioni. I bambini pensano che si tratti di mortaretti e corrono gioiosi in direzione degli spari. Ma in pochi secondi la scena cambia. I mortaretti sono scariche di mitra e sull’erba rimangono 11 morti e 56 feriti. A far fuoco, dalla cima del monte Pizzuta, è stata la banda di Salvatore «Turiddu» Giuliano. Il bandito ha abbracciato la causa del separatismo siciliano e si è avvicinato ai servizi segreti statunitensi, che nell’isola (e altrove) hanno cambiato nemico: non più il fascismo sconfitto, ma il comunismo trionfante. La vittoria delle sinistre alle elezioni amministrative di aprile non è piaciuta al blocco di interessi che comprende proprietari terrieri, mafiosi e notabili già fascisti e ora democristiani. Giuliano diventa il loro braccio armato, e forse non il solo: i superstiti della strage insistono nel sostenere che gli spari provenivano anche da un altro monte, la Cometa. Ma il ministro degli Interni, Mario Scelba, respinge ogni dietrologia e riduce Portella della Ginestra a «fatto di delinquenza». Ci sono tutti gli ingredienti per il primo mistero irrisolto dell’Italia repubblicana.
«Turiddu» pretende la contropartita promessa, l’impunità. Non ottenendola, finisce per scagliarsi contro i suoi mandanti. Tenta di rapire il padrino della mafia, don Calò Vizzini, e massacra decine di rappresentanti dello Stato, portando il totale dei suoi delitti a 411. Finalmente, nel luglio 1950, il colonnello Ugo Luca può annunciare al mondo che Salvatore Giuliano è stato ucciso a Castelvetrano durante un conflitto a fuoco con i carabinieri nel cortile della casa di un mafioso. Ma la versione ufficiale viene smontata dal miglior giornalista-segugio dell’epoca, Tommaso Besozzi. Possibile che Giuliano sia caduto in una trappola così grossolana? E come mai la sua canottiera presenta una macchia di sangue sulla schiena, in un punto dove non vi sono ferite? «Di sicuro c’è solo che è morto», è il titolo dell’articolo. La verità viene faticosamente a galla. A tradire Giuliano è stato il cugino Gaspare Pisciotta, che lo ha ucciso nel sonno con due pistolettate, prima che i carabinieri sparassero al cadavere e allestissero la messa in scena. Pisciotta dichiara di essere stato imbeccato da un mafioso, che lo ha messo in contatto con le forze dell’ordine e gli ha garantito la ricompensa dello Stato. E la ricompensa arriverà, quattro anni più tardi: un caffè allungato con stricnina, offertogli da mani amorevoli nel carcere palermitano dell’Ucciardone.